Alla medesima radice fe è possibile ricondurre i termini felix, femina, fecunditas, filius, ecc. Se ne evince, sostiene Salvatore Natoli, la costitutiva relazionalità e l’esperienza di espansione che caratterizza la felicità. Nell’incontro con l’altro si esplica la doppia dimensione fusivo-diffusiva del bene, grazie alla quale, nella fruizione del bene altrui e nella diffusione del proprio bene vi è espansione di sé e crescita con l’altro. In questo senso, il significato originale di ethos rimanda giustamente sia all’abitudine che all’abitare. Il sentirsi “a casa” ha ovviamente a che fare anche con le abitudini che vengono a formarsi nella vita quotidiana. Etica sarà perciò la costituzione di una abitudine all’incontro con l’altro, al dare forma alla propria possibilità di espansione. L’etica deve perciò essere propriamente intesa come una “estetica dell’esistenza”: dare forma alla propria potenza e agire producendo bellezza. Siamo ben lontani dall’attuale concetto di prestazione, secondo il quale sempre più è necessario sviluppare al massimo grado le proprie capacità professionali per ottenere risultati sempre migliori. È invece propria della virtù la curiosità che indaga oltre la superficie delle cose e delle persone, è disposta all’apertura verso il mondo e pronta a crescere insieme all’altro nella dimensione propria del dono. La felicità è dunque sempre attesa, non perché dimori in un futuro indeterminato e più o meno facilmente raggiungibile, ma perché in ogni momento può accadere, può darsi come il dono o la grazia.