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Affinché tutti gli elementi dell’essere potessero sopravvivere alla morte e non rischiassero l’annientamento, era necessario che gli dèi dichiarassero il defunto Ma’-kheru, termine che normalmente gli egittologi traducono con "giustificato", in modo che egli diventasse venerabile (Imakhu). Se il faraone era immortale per diritto, essendo un dio tra gli uomini, l’uomo comune doveva provare di avere agito nella sua vita in modo da non turbare la Maat, l’equilibrio universale su cui si basavano la società egiziana e in definitiva l’intero cosmo. Per questo ogni defunto doveva essere giudicato da un tribunale divino, il cui embrione si trova già nei Testi delle Piramidi e nei Testi dei Sarcofagi, ma che trova nei capitoli 30 e 125 del Libro dei Morti la sua espressione definitiva. Già dall’Antico Regno le tombe riportano "confessioni positive", che enumerano gli atti conformi alla Maat compiuti dal proprietario secondo i canoni di quella che oggi chiameremmo una "biografia ideale":
«Io sono uscito dalla mia città, sono disceso dal mio nomo.
Io ho compiuto la Maat per il suo signore, ho soddisfatto il dio per ciò che lui ama.
Io ho detto il bene, ho ripetuto il bene; ho detto la Maat, ho compiuto la Maat.
Io ho dato pane all’affamato, vestiti all’uomo nudo;
ho rispettato mio padre, ho gioito dell’affetto di mia madre;
non ho mai detto nulla di malvagio, cattivo o maligno contro nessuno,
perché desideravo il bene e di essere un Imakhu presso il dio e presso gli uomini per sempre».
Gli studiosi ancora oggi si chiedono se le vivaci scene raffigurate nelle tombe egizie, specie in quelle dell’Antico Regno, siano rappresentazioni della vita quotidiana che hanno poco a che fare con l’aldilà, o se il mondo nilotico raffigurato sia una copia celeste della vita terrena, una sorta di paradiso materiale. È indubbio che, persino nei templi delle piramidi, alcune scene non abbiano nulla a che vedere con l’aldilà: le grandi navi commerciali raffigurate nel tempio funerario di Sahura che tornano dalle coste siriane, solo per fare un esempio, sembrano una pura dimostrazione della potenza del faraone in terra: una "pubblicità" apparentemente inutile, visto che è ben difficile che i comuni mortali venissero ammessi all’interno dei templi delle piramidi. Allo stesso modo, molte scene nilotiche del repertorio funerario dell’Antico Regno, come la pesca con l’amo e il guado delle mandrie, non sono associabili ad alcun evento ultraterreno.
Tuttavia è indubbio che le scritte di accompagnamento di alcune scene rinviino a un evento oltremondano, come la visita ai Campi di Offerte, al «bell’Occidente» e al «dominio di Hathor». Per molti altri casi, anche apparentemente quotidiani, come la pesca con la rete o l’uccellagione, è dimostrato da alcuni passi significativi dei Testi delle Piramidi che queste scene fanno riferimento a una ben precisa mitologia dell’oltretomba. Inoltre, i modelli reali mostrano le stesse scene di vita quotidiana con un alto grado di idealizzazione, mitizzandole: ad esempio i pescatori o gli umili barcaioli hanno corpi perfetti e sono vestiti con parrucche assolutamente fuori contesto.
(da R. Buongarzone, Gli dèi egizi, Roma, Carocci, 2007, pp. 107-108)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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