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Con la teoria genetica della selezione naturale e lo studio delle componenti genetiche del comportamento animale, il paradosso dell’altruismo ha assunto un aspetto nuovo, per certi aspetti ancor più radicale, a causa del fatto che – nei modelli matematici e quantitativi della genetica di popolazioni – la fitness di un individuo precede, e prevale su, qualsiasi vantaggio incidentale di specie, famiglie e «tribù». Se gli individui generosi trascurano i loro interessi diretti, e dunque hanno un tasso riproduttivo più basso mentre gli egoisti al contrario non rinunciano a nulla e godono dell’aiuto altrui, perché i geni connessi ai comportamenti altruistici sono tollerati dalla selezione naturale?
Anche se l’altruismo fosse gratificante per l’individuo, dovrebbe essere soverchiato di generazione in generazione fino a non lasciare alcuna traccia di sé. Gli unici comportamenti pro-sociali ammessi dal modello sarebbero l’accoppiamento sessuale e le cure parentali. L’altruismo sembra dunque estremamente improbabile da un punto di vista strettamente selettivo. Tuttavia, e torniamo al punto, sappiamo che altruismo, cooperazione e attitudini sociali sono ampiamente diffusi e hanno successo in numerose specie, le più diverse e non strettamente imparentate fra loro. Vediamo chiaramente che diversi tratti neurofisiologici e processi ormonali rinforzano i comportamenti pro-sociali.
La mera presenza, oggi, di condizioni fisiologiche che rendono possibile la cooperazione (le «cause prossime») ci racconta però soltanto metà della storia. Abbiamo bisogno di comprendere anche le cause remote, cioè evoluzionistiche, dell’emergenza di questi comportamenti. Nella storia del pensiero biologico del XX secolo sono state fornite in tal senso due risposte prevalenti:
a) il paradosso in realtà non sussiste e l’altruismo è un illusione, essendo una tipologia indiretta e sofisticata di egoismo; pertanto, non esistono atti di puro altruismo in natura;
b) il paradosso è dovuto a un compromesso: l’altruismo è una realtà evoluzionistica, ma è coerente, a un differente livello, con la logica evoluzionistica di base, egoistica, del darwinismo riveduto e corretto sulla scorta della genetica di popolazioni. (…)
Nei mass media una psicologia evoluzionistica «pop» di grande successo – con le sue ricostruzioni adattative del tutto speculative, che spiegano poco ma soddisfano le nostre menti attratte dalle «storie proprio così» e da mitici «ambienti ancestrali» – ha trasformato l’evoluzione della socialità umana nell’ultimo territorio di applicazione di un ultradarwinismo stereotipato che punta soltanto sulla continuità di meccanismi evolutivi ipersemplificati. Non è certo una soluzione quella di contrapporre a queste visioni una psicologia evoluzionistica di senso opposto, basata su accezioni edificanti di cooperazione e di altruismo. Sarebbe un modo per perpetuare la fallacia naturalistica di chi sovrappone alla natura le proprie convinzioni etiche, cercando nell’essere (in una sorta di «biologia della generosità») un fondamento del dover-essere. Né la pace né la guerra sono destini biologici necessari inscritti nei nostri geni. Con la nozione di exaptation, e con il pluralismo darwiniano a cui si ispira, possiamo invece laicamente interpretare le grandi transizioni evolutive – inclusi i «bricolage» e le innovazioni nei comportamenti umani – come eventi reali e dirimenti, i quali però non implicano alcuna «discontinuità» e soprattutto non ci liberano da un’eredità ambigua. Possiamo inoltre evitare così di ricorrere a ipotesi in cui l’evoluzione culturale appare come qualcosa di completamente nuovo e «disobbediente» rispetto agli interessi biologici, come in alcune storie «memetiche» in cui questi supposti equivalenti un po’ antropomorfici dei geni (i memi) inaugurerebbero non si sa perché un percorso evolutivo indipendente e divergente rispetto a quello biologico.
(da T. Pievani, Biologia dell’altruismo, in «Micromega», 7, 2010, pp. 50, 61)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.