L’apporto dei cattolici alla Resistenza al nazifascismo, alla rinascita civile e democratica all’indomani della Liberazione, al «progetto costituente» e al «patto costituzionale» fondativi della Repubblica, alla ricostruzione post-bellica, come ai successivi processi di modernizzazione dell’Italia, è avvenuto nel segno dell’accettazione incondizionata della democrazia pluralista, in uno con le libertà e i diritti civili, sociali e politici che storicamente la sostanziano. Un’accettazione non scontata per la tradizione del cattolicesimo, stanti le propensioni culturali e politiche antimoderne prevalenti nelle gerarchie ecclesiastiche e le persistenti riserve di principio, fino al Concilio Vaticano II, del magistero pontificio. (…)
Com’è noto, già agli inizi del secolo scorso – nel celebre discorso di Caltagirone del 1905, significativamente dedicato a I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani – Luigi Sturzo denunciava la presenza, nel nascente movimento cattolico, di «due tendenze diverse e anche opposte nel campo delle idee e della organizzazione», individuando l’una nei conservatori o moderati o, più precisamente – come ribadirà a più riprese in seguito – «clerico-moderati», l’altra nei «riformisti» o «democratici». La «lotta delle due tendenze» – che Sturzo riteneva inevitabile e necessaria, polemizzando apertamente, fin da allora, con «i beghini dell’armonia e dell’unione dei cattolici» – ha caratterizzato, pur nel variare delle forme espressive e dei contenuti da essa assunti lungo la tormentata e spesso tragica storia dell’ultimo secolo, l’intera vicenda del movimento sociale e politico dei cattolici fino ai giorni nostri, non soltanto in Italia.
All’interno di questa bipartizione assumono il loro proprio significato locuzioni quali «cattolicesimo democratico» o «cattolici democratici» – consolidate e ricorrenti nel confronto politico-culturale, come nella storiografia del movimento cattolico in Italia – da intendersi non in contrapposizione ad un presunto cattolicesimo «antidemocratico», di cui non v’è traccia – nel secondo dopoguerra – nella pur variegata e complessa esperienza dell’organizzazione sociale e politica dei cattolici, bensì propriamente come identificative di una pur composita tradizione culturale e politica, ed anche di una peculiare sensibilità religiosa ed ecclesiale, contrapposta come tale al «clerico-moderatismo». «Cattolici democratici» in quanto alternativi, dunque, ai «cattolici moderati» o «clerico-moderati».
(da L. Guerzoni, a cura di, Quando i cattolici non erano moderati. Figure e percorsi del cattolicesimo democratico in Italia, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 11-13)
Nell’arena pubblica c’è oggi una tentazione per i cristiani abbastanza singolare, che è quella di vedersi offrire rispettabilità politica e largo spazio sociale, a patto che l’esperienza di fede accetti di ridursi a religione civile. Il tema si presenta come una tentazione perché sembra rispondere a un cruccio storico delle chiese nella modernità. Coniugato in modo diverso nelle chiese sostenute dallo Stato col sistema di establishment tipico della tradizione protestante e anglicana, nelle terre ortodosse e nelle nazioni cattoliche il problema dello statuto della secolarizzazione ha inquietato i credenti.
Nel caso della chiesa di Roma, la predicazione, dalla fine del XVII secolo in poi, non cessa di lamentare la progressiva secolarizzazione e di denunciarne gli effetti perversi sul sistema politico, sulla vita sociale, sul regime economico, sulla legislazione. Agisce a lungo il mito di una cristianità perduta da ricostruire o tramite l’egemonia cattolica sulla nazione o tramite la mediazione della democrazia in nome di valori di diritto naturale di cui la chiesa è custode: dapprima dentro le visioni politiche e poi perfino nel sostrato ideologico di devozioni che milioni di fedeli praticano con tutt’altro intento, il mito agisce anche dopo che il Vaticano II ha introdotto la categoria dei segni dei tempi, come appello a riconoscere nella speranza mondana echi e scintille della stessa voce evangelica.
Lo si coglie nell’impegno e nel modo col quale la chiesa ha battagliato su temi ad alto valore simbolico lungo tutto il secolo scorso: dalle costituzioni al diritto di famiglia, dalla politica scolastica ai diritti dell’embrione, dall’insegnamento religioso alla memoria delle radici cristiane dell’Europa, il cattolicesimo profonde un impegno che non è commisurato ai risultati o ai problemi, ma al desiderio di affermare il proprio diritto/dovere di parlare, contro le culture della separazione e contro la «religione» della laicità (il che accende di tanto in tanto scaramucce verbali con reperti di un anticlericalismo che si solletica, dimentichi di cosa esso fosse). Ma il sogno della cristianità perduta non visita solo il sonno della chiesa: perché il mito di una simbiosi politico-religiosa è sopravvissuto al suo incubatore ideologico, generando anche al di fuori del cristianesimo il rimpianto per un’età nella quale un’agenzia specializzata era incaricata di dipanare le matasse valoriali. Rimpiangendo una chiesa che fungeva da ministero degli affari etici, la politica crea una lusinga che la chiesa sente: offrire alle chiese un posto nella compaginazione della società, nella manutenzione del suo immaginario e dello iato fra i ricordi dell’infanzia e le durezze dell’età adulta significa fornire alla vita cristiana una funzione civile, articolata in modi sensibilmente diversi in universi culturali differenti.
(da A. Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna. Un discorso storico sul cristianesimo che cambia, Torino, Einaudi, 2004, pp. 99-101)*
Presiede: Maria Donata Panforti
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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