Il XX secolo è stato testimone di un'accelerazione delle conoscenze e delle attività tecniche, soprattutto per quanto riguarda le scienze del vivente, nel cui ambito sono ad esempio diventate possibili la creazione di oggetti viventi artificiali, interventi di modificazioni del genoma, piuttosto che interazioni inedite fra robot elettronici e cervello umano. È in particolare l'immagine dell'uomo come un sistema chiuso, unico e autarchico, creatore dei suoi discorsi e delle sue azioni, origine e fine di tutte le cose, a non reggere più. A questo proposito Henri Atlan ritiene che non si debba parlare di una post-umanità o di fine dell'umanesimo: l'uomo non sta scomparendo o per lo meno non più di quanto non sia già scomparso più volte in passato dalla comparsa dell'homo sapiens.
Quelli di fronte ai quali ci troviamo oggi, secondo Henri Atlan, sono pericoli che chiamano in causa non tanto la categoria di "non-umano" quanto quella di "inumanità". Di fronte a questi rischi è necessario e urgente ripensare le antiche classificazioni di umano e animale, o di animato e inanimato, dal momento che hanno perso pertinenza e sono diventate più problematiche rispetto alle nuove conquiste e alle nuove sfide. In questa direzione, Henri Atlan ha posto l'accento sul rifiuto di classificazioni basate su definizione astratte e generali, sottolineando l'importanza di individuare processi dinamici. La scienza ha ad esempio dimostrato come gli esseri viventi e conoscenti non siano altro che prodotti dalla auto-organizzazione di parti della natura non viventi e non conoscenti, e che solo per differenze progressive si passa dall'incosciente al cosciente; altri studi hanno mostrato come proprietà proprie della coscienza umana possano essere presenti in altre specie animali o nei primati.
Henri Atlan ha altresì evidenziato come la specie umana abbia dato origine anche ad un processo di evoluzione specifico, l' "evoluzione culturale" e può essere proprio a questa umanità, la cui negazione è l'inumanità, e alle nozioni che le sono associate, come quella di dignità, che si può circoscrivere quello che si intende per natura umana, che oggi viene minacciata. Risultata così che un'azione inumana consiste nel togliere o negare la dignità ad un essere umano, e cioè, sulla scia di quanto ha sostenuto Spinoza, il minimo di gloria, il minimo di soddisfazione e di stima di sé, nonché di riconoscenza e lode da parte di altri, senza i quali la condizione umana non sarebbe tale. La dignità così intesa rappresenta dunque ciò che fa si che l'essere umano abbia un valore intrinseco in quanto tale, che si esplica anche nella conoscenza e il cui segno più immediatamente visibile è rappresentato dal suo corpo.