Una definizione della privacy come “diritto d’esser lasciato solo”, come semplice riservatezza, ha da tempo perduto un significato generale, anche se individua un valore, continua a cogliere un aspetto essenziale del problema e può essere applicata a specifiche situazioni. Nella società dell’informazione tendono a prevalere definizioni funzionali della privacy che, in diversi modi, fanno riferimento alla possibilità di un soggetto di conoscere, controllare, indirizzare, interrompere il flusso delle informazioni che lo riguardano. La privacy, quindi, può in primo luogo, e più precisamente, essere definita come il diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni; e, più in generale, si presenta come una dimensione della libertà esistenziale, costitutiva non solo della sfera privata, ma pure di quella pubblica. (…)
Queste modalità nuove di costruzione della sfera privata, alle quali l’interessato rischia sempre più spesso d’essere del tutto estraneo, non danno vita soltanto ad invasioni lecite o indebite: mutano la qualità stessa della sfera privata, consentono la disponibilità di masse di informazioni personali che possono essere utilizzate per estrarre profili individuali e di gruppo, per individuare comportamenti prevalenti, con la concreta possibilità di definire criteri di “normalità” e di cercare di imporli. Accanto alla società della sorveglianza si ingigantisce la società della classificazione, che guarda al mondo come ad un gigantesco mercato, all’umanità come un insieme di consumatori di cui dev’essere catturato e conservato ogni gesto, propensione, gusto, sfumatura. (…)
Di fronte a noi si delineano con nettezza due tendenze. Assistiamo, da una parte, ad una ridefinizione del concetto di privacy che, accanto al tradizionale potere di esclusione, attribuisce rilevanza sempre più larga e netta al potere di controllo. Si amplia, dall’altra, l’oggetto del diritto alla riservatezza, per effetto dell’arricchirsi della nozione tecnica di sfera privata, che comprende un numero sempre crescente di situazioni giuridicamente rilevanti. In questa prospettiva, quando si parla di “privato”, non si identificano necessariamente aree alle quali viene attribuita una particolare protezione per ragioni di riservatezza. Quella nozione tende a coprire ormai l’insieme delle attività e delle situazioni di una persona che hanno un potenziale di “comunicazione”, verbale e non verbale, e che si possono quindi tradurre in informazioni. Privato, ormai, vuol dire “personale”, senza che questo porti necessariamente con sé esigenze di segretezza. Partendo da questa constatazione, si può dire che oggi la sequenza quantitativamente più rilevante è quella “persona-informazione-circolazione-controllo”, e non più soltanto quella “persona-informazione-segretezza”, intorno alla quale è stata costruita la nozione classica di privacy. Il titolare del diritto alla privacy può esigere forme di “circolazione controllata”, piuttosto che interrompere il flusso delle informazioni che lo riguardano. (…)
Bisogna aggiungere che tutto questo non è solo l’effetto delle preoccupazioni determinate dalle molteplici applicazioni delle tecnologie dell’informazione. È pure il risultato del modo in cui l’intera tecnologia delle comunicazioni contribuisce a “costruire” la sfera privata, facendo diminuire la necessità di tutta una serie di consolidati e quotidiani contatti sociali (grazie al telelavoro, alle videoconferenze, agli acquisti a distanza, allo svolgimento da casa propria di operazioni bancarie, ecc.) e sottraendo così il singolo individuo alle diverse forme di controllo sociale rese possibili proprio dall’agire “in pubblico” all’interno di una comunità. (…)
Ma la crescente possibilità del singolo di chiudersi nella “fortezza elettronica” rischia di dare soltanto l’illusione di un arricchirsi e di un rafforzarsi della sfera privata. Più che sottrarsi al controllo sociale, il singolo si trova nella condizione di veder rotto il legame sociale con gli altri suoi simili, che si fatica a ricostruire sulla base della sola comunicazione elettronica. Nel “villaggio globale”, nel navigare in Internet, aumenta la sensazione di autosufficienza, ma pure la separazione dagli altri. Deperiscono le tradizionali forme di controllo sociale, il cui posto, però, viene preso da controlli più penetranti e globali, resi possibili dal trattamento elettronico delle informazioni. Ogni traccia elettronica viene implacabilmente registrata, può essere conservata e associata ad altri, avvolgendo così l’esistenza di ognuno in una rete a maglie fittissime.
(da S.Rodotà, Repertorio di fine secolo, Roma-Bari 1999-2a, pp. 201-207)
Riferimenti Bibliografici
- N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino 1984;*
- D.H. Flaherty, Protecting Privacy in Surveillance Societies, Chapel Hill 1989;
- J. Habermas, Fatti e norme, Milano 1996;*
- D. Lyon, L'occhio elettronico, Milano 1997;*
- T. Maldonado, Critica della ragione informatica, Milano 1997;*
- J. Michael, The Politics of Secrecy, Harmondsworth 1982;
- K.G. Wilson, Technologies of Control, Madison 1988
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