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Valdo muta radicalmente i modi di vita seguiti fin verso la metà degli anni Settanta del secolo XII ed entra in una serie di relazioni per lui nuovissime. Non è più la ricchezza al centro del suo esistere, ma è l’appello evangelico che egli trova nelle Scritture e che concretizza nella duplice dimensione della totale spogliazione e della missione apostolica. Per lui essere testimone del Cristo comporta farsi povero e annunciatore della “buona novella”, da cui discendono comportamenti ispirati alle beatitudini del Discorso della montagna. (…)
Visto che non è attestata alcuna attività scrittoria o letteraria di Valdo, egli affidò forse la sua intuizione a una qualche formazione religiosa? Quello che le fonti più antiche chiamano un “iniziatore” è piuttosto un “fondatore”? Non esistono le prove documentarie per pensare che, a un’iniziale capacità e forza di attrazione verso individui, uomini e donne, che ne ripercorrevano la via evangelica, Valdo facesse seguire azioni volte al consolidamento, per dire così, giuridico e organizzativo dell’insieme dei suoi “fratelli” e “sorelle”. Fonti e documenti non ne parlano, anche se probabilmente processi del genere si erano messi in moto prima della sua morte soprattutto nella componente chiericale, rispetto alle altre più consapevole del necessario esito istituzionale della “novità” della loro esperienza religiosa. Lo dimostrerebbe la decisione, sia di Durando d’Osca e compagni nel 1208, sia di Bernardo Primo e soci nel 1210, di rivolgersi al papato non solo né tanto per “salvare” se stessi, ma soprattutto affinché quanto avevano appreso da Valdo e vissuto con lui non andasse perso e perché i suoi seguaci non fossero ridotti, nel migliore dei casi, in una condizione di semiclandestinità.
Possiamo allora continuare in modo legittimo ad attribuire a Valdo la qualifica di “iniziatore” di un “movimento religioso”: nel senso che il suo apostolato mette in crisi delle coscienze, attiva delle intelligenze e propone “cieli nuovi e terre nuove” a chi era, dal punto di vista sociale e culturale, escluso da una partecipazione attiva alla vita religiosa e a chi, invece in una condizione chiericale, non era soddisfatto dei modi di presenza cristiana e di azione pastorale delle gerarchie ecclesiastiche. Tuttavia l’appropriazione da parte di Valdo delle Scritture, lette e apprese attraverso la “rivoluzionaria” decisione di farsele tradurre nella lingua materna, non attiva in lui una volontà concorrenziale nei confronti dei sacerdoti, né lo spinge verso la creazione di una “controchiesa”. Egli non è un “fondatore di un’eresia”, né tanto meno un teologo o un teorico capace di elaborare un “pensiero” antagonistico a quello egemone della cultura chiericale. Eppure il laico Valdo riuscì a ritagliarsi una propria fisionomia evangelica, molto difficilmente accettabile da parte di una Chiesa oramai del tutto sacerdotale: il povero del Cristo che, in quanto tale, acquisisce l’irrinunciabile diritto-dovere di annunciare la “buona novella” mediante la lingua dei non chierici, degli incolti.
Ci si potrebbe chiedere se Valdo si fosse ispirato ad analoghe esperienze a lui anteriori o contemporanee. Gli storici di solito evitano tale concreta questione e tracciano linee ipotetiche che partono da più o meno lontano e che toccano figure di eretici della prima metà del secolo XII, cercando di evidenziarne presunte idee in comune o differenze rispetto a Valdo. Tali sforzi risultano fuorvianti, se non inutili, poiché, se Valdo si fosse davvero ispirato a qualche eretico, che direttamente o indirettamente gli era noto, le fonti non l’avrebbero taciuto di certo. Per contro, la documentazione a lui coeva non riesce a celare del tutto, se non un moto d’ammirazione per quanto di breve durata, almeno la sorpresa per l’inusitata e inaudita decisione di farsi tradurre parti del Nuovo Testamento e dell’Antico in lingua volgare: meno originale, né certo unica, l’attrazione esercitata su di lui dall’idea forte, o mito, della vita apostolica, da tempo diffuso in ambienti monastici, eremitici e canonicali. Abbiamo già sottolineato che la novità di Valdo ha anche dei risvolti sociali, in quanto “uomo nuovo”, borghese, che rovescia i valori su cui aveva fondato la sua esistenza prima della conversione: valori rivolti all’accumulo di ricchezze attraverso la propria capacità di iniziativa economica e finanziaria non solo con acquisti e sfruttamento di terre e di diritti signorili, ma anche attraverso il prestito del denaro, ovvero l’usura. Valdo «aveva rinunciato al secolo», alla logica del mondo, per seguire la logica del vangelo.
(da G.G. Merlo, Valdo. L’eretico di Lione, Torino, Claudiana, 2010, pp. 98-101)*
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