Roma. Un padre e un figlio camminano per la periferia, parlando della vita e della morte. Si unisce ai due un corvo-intellettuale marxista e narra la storia degli uccellacci e uccellini, di san Francesco e i due frati Ciccillo e Ninetto. Falchi e passerotti si convertono, ma continuano a combattersi. Tornati al presente, Totò infierisce sulla sua inquilina ed è tartassato dal suo padrone. Dopo varie avventure ed aver assistito ai funerali di Togliatti, i due, stanchi delle prediche del corvo, se lo mangiano. Film-manifesto dell'intellettuale in crisi, di un ribelle senza speranza. Sotto la forma di favola, Pasolini parla degli anni '60, delle speranze tradite di palingenesi, della crisi del marxismo, del ruolo dell'intellettuale. Critica il ruolo antidemocratico della Chiesa, in quanto portatrice di una generica idea d'amore che elude la realtà e la lotta di classe (la storia di san Francesco e dei due fratini). Pieno di humour, è anche un omaggio ai classici del cinema comico, a Charlot soprattutto. Come ha detto Pasolini, “l'atroce amarezza dell'ideologia ha impedito di vedere le cose e gli uomini con lo sguardo leggero del perdono”. Pasolini riflette sulla difficoltà di prendere coscienza della realtà, dove già spuntano le segnalazioni (grazie a simbolici cartelli stradali) di un futuro terzomondista letto in chiave messianica. Pasolini sembra propendere verso una religiosità sottesa al suo rapporto col reale, sintomo di una verità arcaica e naturale, unico terreno in cui svolgere una presenza politica attiva. Grande Totò, che esprime il candore e l'astuzia di un "poverello" del suo tempo (e di tutti i tempi).