Il complesso “Yesh Gvul” è stato fondato nel 2002 dal clarinettista Marco Fusi, il quale nel nome si è ispirato all’omonima organizzazione che lavora per favorire la pace e la concordia tra arabi e israeliani. E’ composto da musicisti di indubbia fama come il fisarmonicista Pietro Marazza, il violinista Maurizio Dehò (collaboratore della prima ora di Moni Ovadia e ora componente del Rapsodja Trio) e Luigi Maione (componente del Rapsodja Trio). Il punto di partenza del repertorio è la musica klezmer, con una particolare attenzione però ai rapporti e alle contaminazioni che nel suo cammino storico ha avuto con le altre culture. Sono perciò presenti anche brani della tradizione araba, dell’Est Europa e commistioni con il jazz. Yesh Gvul non è una formazione di musica ebraica in senso stretto: il klezmer diventa semmai la guida, il filo conduttore per un viaggio che a partire dal Medio Oriente continua nell’Europa dell’Est e termina negli Stati Uniti. Il secolare vagabondaggio del popolo ebraico diventa una pretesto per evidenziare i motivi comuni presenti in tradizioni musicali diverse.
Il gruppo, pur essendo di recente formazione, è già stato presente in manifestazioni di altissimo livello, culminate con la chiamata, da parte del prestigiosissimo Club Tenco di Sanremo, ad aprire, in occasione del decennale, la sua rassegna “Musica sotto il castello”. Significative sono state le presenze a numerose rassegne specializzate in musica etnica, dove il gruppo è stato affiancato da alcuni dei più importanti nomi del panorama folk internazionale: tra gli altri Taraf Carpazi, Hysni Zela e Albania Wedding Orkester, Radicanto, Alexian group, Inti Illimani. Nel 2003, per la Società dei concerti di La Spezia, è stata in cartellone con Salvatore Accardo, Eugenio Finardi, la Filarmonica di Kiev e L’orchestra di Salisburgo. Nel 2003 è uscito il primo disco del gruppo, nel quale compaiono come ospiti Moni Ovadia e Vladimir Denissenkov.
Moon Waltz (Marco Fusi)
Trovesi-Carpi tribute
Der gasn nigun
Der heyser bulgar
A nakht in gan eydn
Odessa bulgarish
Oy, tate
Firn in mekhutonim aheym
Araber tanz
Tanz,tanz, yidelekh
Trello hasaposervico
Hasaposervico gitano
St. Louis blues
Walking all alone
Doina
Moldavian hora
Hava nagila
Nota sul programma.
La scelta nell’impostazione del repertorio del gruppo è stata quella di utilizzare il Klezmer come punto di partenza.
La parola Klezmer deriva dai termini ebraici kley e zemer (“strumento che canta”) e individua la musica popolare prevalentemente strumentale degli ebrei dell’Europa orientale, conservata ed elaborata a partire dal secolo XVII. Il folklore e le tradizioni musicali di Polonia, Romania, Russia e Ucraina vivono nel klezmer coniugate da una espressività tipicamente ebraica (a sua volta fortemente contaminata dalla tradizione musicale presente in Palestina, di matrice araba). Momento cruciale nella storia del klezmer fu la massiccia emigrazione ebraica negli Stati Uniti, dove ancora una volta la musica attinse all’universo sonoro del paese che l’aveva accolta, contaminandosi con il jazz. La scelta è quella di utilizzare questo genere musicale come una guida, un filo conduttore, un pretesto per esplorare culture musicali affini come quella araba, gitana e jazzistica, vuoi per le sue composizioni originali, vuoi per i brani tradizionali che vengono rielaborati sfruttando la formazione polivalente dei musicisti di questo ensemble, che va dalla musica classica al flamenco e al jazz. Per fare un paragone con le arti figurative si può prendere come esempio Chagall, il quale ha reinterpretato l’ambiente ebraico utilizzando la sensibilità pittorica a lui contemporanea, riuscendo così a fornire una visione allo stesso tempo moderna e rispettosa della tradizione cui ha fatto riferimento. Sono da leggere in questa chiave anche i rimandi a sperimentazioni contemporanee che hanno avuto come riferimento la musica tradizionale come quelli di G.Trovesi e di J. Zorn.
Marco Fusi ha poi voluto dare un valore simbolico alle scelte artistiche effettuate: la musica diviene la metafora di una società possibile, dove le differenze non portino necessariamente allo scontro ma ad un arricchimento reciproco