Con questo volume Arrighi intende riflettere sulle trasformazioni contemporanee del capitalismo: la fase attuale non può però essere letta svincolandola dal più generale contesto storico in cui si è sviluppata la dinamica capitalistica negli ultimi secoli. La storia del capitalismo è caratterizzata da un susseguirsi di cicli sistemici di accumulazione che sono andati crescendo in termini di estensione geografica e di differenziazione: dal ciclo genovese del Quattrocento al ciclo inglese in età moderna lo sviluppo del capitalismo ha attraversato fasi dinamiche che attualmente sono sfociate nella contrapposizione tra un capitalismo neoliberista (modello statunitense) e un’economia statale di mercato (modello cinese). La principale categoria dell’analisi di Arrighi è quella di «caos sistemico»: con l’attuale globalizzazione il capitalismo distrugge gli equilibri politici che hanno retto la fase precedente di accumulazione, perché ormai questi non sono più in grado di garantirne l’espansione. Di conseguenza la globalizzazione non è un processo pacifico, ma è sostanzialmente una fase di lotta per l’egemonia caratterizzata da disordine e violenza. Altro aspetto importante è che la globalizzazione non è un elemento nuovo e imprevisto nella storia perché già nel passato si sono conosciute fasi di caos sistemico: il capitalismo ha sempre creato forme politiche e militari adatte a garantire la sua crescita per poi abbatterle conflittualmente quando queste si rivelavano obsolete. Nell’attuale passaggio al dominio economico del modello asiatico per Arrighi si vedrebbe realizzato quel percorso "naturale" verso la ricchezza che Adam Smith vedeva prodursi indirizzando il capitale prima verso l’agricoltura, quindi alle manifatture e infine verso il commercio estero: si tratta però di un percorso opposto rispetto a quello "innaturale" seguito dalle potenze occidentali negli ultimi secoli che hanno esercitato il loro dominio soprattutto attraverso la costruzione di un profondo disequilibrio nei rapporti di forza di politica estera. Mentre in Occidente le forze produttive hanno mirato a controllare la struttura politica per garantire lo sviluppo del capitalismo, in Cina è lo Stato che mira a controllare le dinamiche economiche: lo sviluppo asiatico ha visto lo Stato fare del mercato uno strumento di governo, attraverso cui i singoli capitalisti sono stati messi in reciproca competizione dando impulso a un processo di industrializzazione che ha combinato la spinta alle esportazioni con quella ai consumi interni, tanto da anteporre l’interesse nazionale all’interesse del capitale. Il capitalismo cinese è dunque un’economia di mercato inward looking, cioè orientata verso l’interno.