Ancore nel cielo

L'infrastruttura metafisica


Con il termine "metafisica", ancora oggi, si evoca sommariamente tutto ciò che esula dalle questioni più urgenti della "vita vera". Lo sa bene Rémi Brague (specialista di filosofia antica e medievale, nonché allievo dell’autorevole aristotelista Pierre Aubenque) il quale, parafrasando Marx, sottolinea all’inizio del suo Ancore nel cielo quanto, nell’immaginario comune, quella "metafisica" rappresenti la più classica delle sovrastrutture, ovvero una cima tra le nuvole che non avrebbe nulla di concreto da dirci. Brague rovescia però tale luogo comune dimostrando, proprio in questo libro, quanto la metafisica rappresenti tuttora l’unica vera possibilità per l’uomo di interrogarsi sull’infrastruttura del reale, dunque, sul fondamento di ogni nostra esperienza. Da buon conoscitore della metafisica, Brague evidenzia innanzitutto l’impossibilità di entrare nel merito di ciò che Aristotele definiva le cause e i principi primi della realtà (cause e principi di cui la metafisica costituisce appunto la scienza) facendo astrazione dai grandi pensatori che nel passato, in maniera certamente problematica, si sono occupati dell’essere, dell’esistenza, della sostanza e dei principî primi. Cosicché due tra le questioni più spinose della metafisica, grazie all’apprezzabile disamina storica di Brague, abbandonano il terreno circoscritto degli addetti ai lavori, arrivando a toccare quel punto decisivo in cui, «andandone della vita e della morte», diventa piuttosto «difficile non fare metafisica» (p. 69). Infatti, se da un lato i tre "trascendentali dell’essere" (l’uno, il vero, il bene) che hanno animato le dispute medievali sulla metafisica vengono rispettivamente ipotizzati da Brague come originali chiavi di lettura degli ultimi tre secoli di storia, dall’altro lato, la definizione schopenhaueriana dell’uomo come "animale metafisico" viene posta alla base di un rilancio, costruttivo e convincente, dell’idea platonica del bene e dell’orizzonte aristotelico della praxis contro le odierne derive dell’utilitarismo. Si tratta per Brague, in un modo come nell’altro, di riflettere non più soltanto sulle cause dei problemi che oggi attanagliano il mondo ma anche e sopratutto sulle loro ragioni: «più precisamente, non alle cause passate della situazione presente, ma alle ragioni che dobbiamo avere oggi per determinare che cosa sarà il futuro» (p. 76). Brague dimostra pertanto quanto l’urgenza di riflessione metafisica, in sorprendente controtendenza rispetto al suo superamento (profetizzato e talvolta auspicato, come noto, da buona parte del Novecento filosofico), si imponga con forza laddove si entra nel vivo di questioni certamente urgenti – affrontate da Brague a ogni capitolo del libro – quali la scelta dell’individuo tra il bene e l’utile, l’esperienza del suicidio, l’opportunità di controllare le nascite e l’eventualità, meno lontana di quanto non sembri, della fine della vita umana sulla terra: «la necessità di giustificare l’esistenza stessa dell’uomo obbliga a riconsiderare gran parte degli orientamenti di base del pensiero moderno. Non si tratta di rinunciare ad acquisizioni preziose e conquistate a caro prezzo, e ancor meno di tornare a un passato sognato. Al contrario, si tratta di permettere a chi è soggetto e oggetto di questi benefici, cioè l’uomo, di proseguire la sua avventura. Più esattamente, di volerla continuare» (p. 99).

Dati aggiuntivi

Autore
  • Rémi Brague

    Professore di Storia della filosofia medievale - Université Paris Sorbonne

Anno pubblicazione 2012
Recensito da
Anno recensione 2013
ISBN 9788834321201
Comune Milano
Pagine 100
Editore