Pubblicato per la prima volta nel 1957 e ristampato in un’edizione riveduta ed ampliata nel 1990, Arte e mito costituisce una delle opere principali di Grassi, che può essere inserita – come mette in luce l”ampio saggio introduttivo di C. Gentili, curatore del volume – all”interno della Mythos-Debatte, che ha a lungo vivacizzato il panorama filosofico europeo. A costituire il filo conduttore della ricerca è 1’urgenza di impostare la questione dell”arte nè da un punto di vista estetico, nè da un punto di vista di storia degli stili. Non stupisce quindi che l’opera sia percorsa dall”inizio alla fine da una domanda che si impone in tutta la sua enigmaticità proprio quando il cammino di pensiero sembra giungere ad una svolta: cos’è l’arte? Soltanto ponendosi il problema della sua essenza è possibile tentare una risposta; ma la domanda intorno all”essere dell”arte giace elusa e inascoltata da secoli di filosofia metafisica. La metafisica è per Grassi la riduzione della filosofia a un pensiero razionale che procede attraverso astrazioni nell’intento di definire l’ente. All”accantonamento del linguaggio immaginoso e a-logico dell’arte corrisponde il tentativo, da parte di un pensiero razionale, di spiegare alcune delle componenti dell”arte quali l’aisthesis, l”empeiria, la techne, la mimesis, come momenti del processo conoscitivo. Come fare per evitare di cadere in queste trappole della filosofia tradizionale? Lo sforzo di indicare una via, di elaborare un metodo (in senso platonico) conduce Grassi ad abbozzare una sua teoria sull”arte. Il problema filosofico che emerge è quello della difficoltà di dire la natura, di nominare la realta di cui facciamo esperienza. Quali parole potranno accompagnare e favorire l”evento che ai nostri occhi si sta rivelando? Quale dovrà essere la parola dell”arte? Per rispondere a questi interrogativi è necessario affrontare la questione del mito: l”oblio dell”essenza dell”arte viene messo in relazione col processo di demitizzazione. Il mythos non è un racconto fantastico come vuole l’opinione corrente, nè una favola il cui autore imitando la praxis apre nuove possibilità del mondo umano, come vorrebbe Aristotele. Se vogliamo uscire dall”orientamento soggettivistico dell”estetica moderna occorre ricordare che il mito è «parola effettiva», «autorivelazione dell”essere» (p. 147-148). La parola mitica apre il tempo e lo spazio umani. Allo stesso modo il linguaggio metaforico dell”arte non costituisce «”un velo” dietro il quale sta la verità, e neppure progetti di favole “possibili”, di mondi umani, ma la forma originaria dello svelar-si dell”ente nella sua storicità» (p. 212).