Nell'opera di Madeleine de Scudéry, Clélie. Histoire romaine (1654-1660), Giuliana Bruno scopre un'incisione, "la carte du pays de Tendre", una mappa del paesaggio interiore della protagonista, in cui la topografia geografica corrisponde alla varietà delle emozioni, alla loro disposizione nel quadro dell'identità personale. Si tratta di psicografia personale e sociale in una terra condivisa, un "paese della tenerezza", in cui si susseguono le differenze dei passaggi e dei luoghi come altrettanti moti dell'articolazione degli stati emotivi. Una topografia mobile, «quel paesaggio particolare che l'immagine in movimento, vale a dire il cinema, ha trasformato in arte della mappatura», diventa il modello di una storia culturale delle arti spazio-visive con una prospettiva che evidenzia lo spazio geografico, architettonico e sociale. Architettura, moda, design, cartografia, storia dell'arte ricostruiscono percorsi dell'esperienza possibile, nel reciproco rapporto che lega arte e prassi, per cui il tentativo di dare forma alla realtà diventa anche il modo dell'opera di agire sulla percezione dell'artista, di modificare ed estendere i confini del mondo in cui vive. Un principio implicito nell'emozione, la sua reciprocità con il movimento, permette la costruzione di una geografia emozionale attraverso cui è possibile comprendere l'emozione come "trasferimento" da un luogo ad un altro che le arti visive e dello spazio rendono concreto nelle immagini emozionali, conducendo lo spettatore a fare esperienza di un mondo lontano, eppure presente, attraverso la creazione di paesaggi mentali, mappe affettive e mondi interiori. Vedere e viaggiare sono dunque inseparabili, così come inseparabile è il legame di esterno e interno nell'esperienza antropologica del viaggio e nell'attenzione per i luoghi familiari dell'architettura. Giuliana Bruno presenta così una storia delle forme, una fisiognomica dello spazio fra invenzione e perlustrazione, nella tensione fra paesaggio culturale e geografia emozionale rappresentata nel gesto innovatore dell'artista, nell'opera "architetturale" di Peter Greenaway o nell'Atlante di Gerhard Richter, così come nel cinema di Antonioni e Wenders, in cui le immagini diventano ambiente e architettura. Un atlante che è arte della perlustrazione e della memoria, dell'ibridazione dei codici per arrivare a gettare luce sull'immaginario contemporaneo e sulla narrazione che costituisce la vita del soggetto contemporaneo, la cui percezione del mondo fisico è resa possibile dalla sua geografia interiore.