La storia del dibattito teologico e politico sulla distinzione, la separazione e la gerarchia di potere secolare e potere spirituale risiede innanzitutto nell’interpretazione di due luoghi neotestamentari: la risposta di Gesù a una domanda "imbarazzante" riportata da Matteo – «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mt 22,21) – e un passo della Lettera ai Romani di Paolo – «Ogni anima sia sottomessa alle autorità superiori; non vi è alcuna autorità se non da Dio; quelle che esistono, infatti, sono ordinate da Dio» (Rm 13, 1-7). In questo volume Marco Rizzi – docente di Letteratura cristiana antica all’Università Cattolica di Milano – ne ricostruisce la fortuna interpretativa, illustrando come nelle diverse epoche e nelle diverse condizioni storiche sia venuta modificandosi anche l’esegesi e il significato assunto da tali passi. È immediatamente evidente che su tale esegesi si gioca la possibilità di confermare o meno la supremazia del potere spirituale su quello secolare, del Papa sull’Imperatore, e che il lungo percorso che dalla "rivoluzione" gregoriana (e dalla lotta per le investiture) conduce alla Riforma protestante, ovvero il processo di secolarizzazione che porterà alla nascita dello Stato moderno e alla laicizzazione del potere politico, si è giocato anche sulla lettura di tali testi. Il lavoro di Rizzi ne rende conto con precisione e attenzione, verificando e ricostruendo l’evoluzione di esegesi che si sono succedute sin dalla lettura di Origene di Alessandria (185-254). Un percorso che può essere a sua volta separato in due parti, poiché se fino alle soglie del mondo contemporaneo i due passi hanno goduto di uguale attenzione determinando, in linea di massima, la riflessione che ha portato dalla definizione medievale della plenitudo potestas papale alla bellarminiana potestas indirecta, le tragedie del XX secolo hanno imposto una riflessione diversa sul dovere di obbedienza al potere politico (non a caso il libro di Rizzi si apre citando un ufficiale delle SS, Kurt Gestein, e si chiude con Dietrich Bonhoeffer). In tale ricostruzione storica, in cui si rincorrono i tentativi di legittimare la supremazia del potere spirituale su quello secolare o di distinguere pedissequamente i due campi specifici di esercizio di ciascun potere, Rizzi può concludere evidenziando l’assoluta differenza rimarcata dal passo di Matteo tra i due regni, una differenza che segna una distanza incolmabile e incommensurabile, che non può in alcun modo essere superata dalle sole discipline umane: «onestà intellettuale impone di riconoscere come tutto paia indicare in Mt 22 l’enunciazione di un’opposizione tra due orizzonti radicalmente discontinui, quello di Dio e quello del potere umano, non un criterio di delimitazione di un confine giuridico tra due sfere di legittimità; esso non può venire così assunto a giustificazione né di una qualche forma di religione civile, né di civiltà religiosa» (p. 219).