Contro l'identità


L”opera di Remotti si dipana lungo due percorsi paralleli: da un lato la definizione del processo di costruzione dell’identità, il quale completa la struttura lacunosa della natura umana (il riferimento esplicito è a C.Geertz, Interpretazioni di culture, Bologna, il Mulino, 1987); dall’altro, il costante rimando all”esperienza antropologica e etnologica fornisce gli strumenti per una migliore comprensione di tale processo. L’identità è dunque il prodotto di una decisione che agisce su due versanti: quello dell’assimilazione di un contesto culturale particolare, le cui dimensioni ridotte consentono un alto grado di coerenza interna, e quello di riduzione della molteplicità di cui sia il puro che l’impuro sono il prodotto. Tuttavia, sebbene tale processo agisca sul piano funzionale, «diventa invece un problema sul piano dell”autorappresentazione» (p.22). L’indagine antropologica evidenzia perciò sia le diverse modalità di sviluppo di tale processo di costruzione, sia la rarità della consapevolezza del carattere artificiale dell”identità. In particolare l’attenzione di Remotti è diretta verso la figura del guerriero Tupinamba, catturatato dai propri nemici e destinato a essere mangiato da essi. Durante la lunga prigionia, contraddistinta da pratiche e rituali di “assimilazione” del prigioniero da parte della tribù nemica, egli si trova in “bilico” nella comprensione della propria identità e della propria alterità, e soltanto in questa posizione liminare è capace di comprendere la “pazzia” di uno scontro fra alterità e identità che ha un senso solamente nel particolare, ma che nell’espressione completa del cannibalismo Tupinamba sfuma in una vertigine che conduce all’indistinguibilità di ciò che è identico e ciò che è altro. Dunque, soltanto ponendosi al di fuori del contesto di produzione dell’identità, in “bilico” come il prigioniero Tupinamba, I”antropologo è in grado di cogliere l’ambiguità di ogni posizione assunta: «L”uscita dalla logica dell’identità ﷓ conclude Remotti ﷓ consiste allora in una sorta di elogio della precarietà, che è poi la “libertà” a cui si è condannati tutte le volte che si depongono, sia pure per un istante, maschere e finzioni.» (p. 103). Ordinario di Antropologia culturale alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell”Università di Torino, direttore della Missione Etnologica Italiana in Africa Equatoriale e presidente del Centro Studi Africani di Torino, Francesco Remotti ha pubblicato: Noi primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Torino, Bollati Boringhieri, 1990; Luoghi e corpi, Torino, Bollati Boringhieri, 1993; Etnografia nande, Torino, il Segnalibro, 3 voll., 1993-1996.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1996
Recensito da
Anno recensione 1996
Comune Bari
Pagine 108
Editore