Fulcro del volume è la questione della tecnica, che Severino ha da tempo individuato come “destino” dell’Occidente. Rientra in tale destino inevitabile il fatto che la tecnica, in quanto «Apparato scientifico planetario» (p. 78), si imponga e si affermi riuscendo ad avere la meglio sia su avversari esterni (quali, ad esempio, il socialismo reale ieri e, oggi, l’Islam), sia su tradizioni e atteggiamenti interni all’Occidente. Tra questi ultimi rientrano il cristianesimo e lo stesso capitalismo, che però, dal canto suo, è convinto del fatto che la tecnica non sia altro che un mezzo a servizio dell’unico scopo capitalistico dell’incremento del profitto.
Questa, tuttavia, è solamente un’illusione, dal momento che «esiste – afferma Severino – un gigantesco piano inclinato lungo il quale vanno scivolando, verso la propria fine, le forme della tradizione occidentale e le forze – capitalismo, democrazia, cristianesimo –» (p. 22) che oggi invece si illudono di dominare il globo. Del resto, persino la stessa tradizione filosofica occidentale – sorta nell’antica Grecia per consolare gli uomini dinanzi all’estremo pericolo del nulla (p. 92) – è destinata a tramontare sotto i colpi della téchne (a cui la filosofia stessa aveva, per altro, dato i natali), che non conosce altro scopo se non «l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi» (p. 11). È vero, afferma Severino, che il dispiegamento completo della tecnica nel mondo contemporaneo necessiti preliminarmente del veicolo dell’affermazione del capitalismo (p. 241), ma è falso credere che la tecnica si limiti ad essere docile strumento in mani altrui. Troppo grande è infatti il suo “potere”.
E tuttavia – richiama Severino – profondamente inconsistente è il suo fondamento, ammontante alla folle convinzione (pp. 197 ss.) che le cose che divengono riescano a rientrare nel nulla (p. 182). Le vette più elevate del pensiero occidentale (una delle quali è il pensiero di Leopardi) hanno la possibilità di giungere a ridosso della consapevolezza di tale errore. Nessuna però riesce ad accedere al «destino autentico della cosa» (p. 197) e a comprendere che «il destino di ogni cosa è di essere». Nessun pensatore di quella tradizione riesce a giungere alla Gioia dell’«eterno apparire dell’eternità del Tutto» (p. 198). E così l’Occidente ricade nell’illusione, nella propria volontà di potenza e nella propria Follia.