Il libro si colloca in un momento di fervente discussione sul ruolo e l’uso della memoria nel processo di costruzione dell’identità individuale e collettiva. La riemersione di fenomeni legati al negazionismo e al revisionismo rendono necessaria una salda consapevolezza della problematicità della trasmissione di una storia in gran parte perduta, tanto tragica quanto feconda per il formarsi di nuove forme di coscienza e consapevolezza, non solo storica. La questione trattata da Bidussa verte sul problema della trasmissione della memoria della Shoah, muovendo dal caso specifico per costruire un percorso di riflessione sul rapporto complesso tra storia e storiografia, tra narrazione drammatizzata e dato storico, tra autobiografia e modificazione del ricordo. Dopo aver affrontato il tema della costruzione della memoria, portando alla luce la spesso trascurata ambiguità esistente, nel caso della storia tràdita attraverso la voce dei testimoni, tra l’esperienza personale e la sua universalizzazione, Bidussa propone una discussione e un’analisi della cosiddetta Holocaust Literature, delineando le venature che caratterizzano le differenti modalità di percezione, rielaborazione e restituzione della Shoah attraverso la scrittura. Viene così delineandosi una lettura critica della fisionomia del Giorno della Memoria che ne mette in evidenza i limiti e le miopie, le ambiguità connaturate e i rischi di strumentalizzazione o di impoverimento concettuale, ma che ne recupera anche la ragione prima, percorrendo alcune fasi importanti di riflessione che ne hanno tratteggiato l’ideazione e l’affermazione. Resta tuttavia aperto il problema della prevalenza del "dovere della memoria" sul bisogno della conoscenza critica della storia. Il nucleo tematico centrale del libro risulta perciò nell’affrontare il problema del rapporto che intercorre tra l’indescrivibilità dell’accaduto, la tentazione del silenzio e il dovere della narrazione. Il rifiuto della trasmissione costituisce una scelta legittima, indotta dalla difficoltà di dover comunicare un’esperienza incomunicabile, ma determina una scelta non priva di conseguenze. Alla luce di questo orientamento viene enucleata la fragilità della testimonianza diretta. Bidussa parla di "possibilità di verità", confermando la solidità metodologica che costituisce la struttura portante dell’intera riflessione. Rimangono tuttavia interrogativi privi di una risposta univoca. Viene tratteggiata la permeabilità tra storia e memoria, tra il ricordo individuale e la ritualizzazione collettiva, tra la retorica della memoria e la necessità della sua rielaborazione. Come trasmettere la memoria della Shoah, dopo l’ultimo testimone? Con onestà e curiosità, con la volontà di riscoprire e ricostruire la storia attraverso le testimonianze materiali, i documenti, le tracce lasciate dal passato. Con l’applicazione del rigore della storiografia, i cui limiti devono essere conosciuti e rispettati, laddove «non si intende usare la storia per ridisegnare un passato di comodo».