Il più filosofico tra gli animali è per Rabelais il cane, per la tenacia con la quale serra l’osso tra le mascelle per poterne infine estrarre il midollo. Questa immagine può risultare presente al lettore del libro di Virno, che si fonda sul reiterato intento di «identificare un midollo sociale nelle più rarefatte discussioni logico-linguistiche»: un’affermazione che espone al lettore la giuntura tra l’impianto materialistico della ricerca filosofica che l’Autore ha dispiegato a partire dagli anni Ottanta e i classici, quegli «imprevisti arsenali teorici» dai quali possiamo trarre strumenti interpretativi ben più attrezzati di tante estemporanee mode filosofiche o di certi pensatori che appaiono à la page. Strumenti che Virno coniuga con quell’essenziale scaffale del pensiero “sovversivo” rappresentato da Krahl e Sohn-Rethel, Negri e De Martino, Debord e Foucault, Deleuze-Guattari e il Marx dei Grundrisse, un catalogo attraverso cui si rende possibile la comprensione e la critica dell’attuale dispiegamento delle forze produttive e superamento del lavoro salariato non nelle forme di una felice eutanasia del capitalismo, ma secondo le forme stesse del lavoro salariato. Basti questo confronto tra due delle modalità di tale superamento: se per un verso la metropoli è il luogo dove nulla è necessario e tutto è contingentemente possibile (come Virno dimostra con una spericolata traversata dei topoi della filosofia del linguaggio), dall’altro «la distruzione della sfera lavorativa in quanto ambito privilegiato della socializzazione e luogo di acquisizione dell’identità politica» crea quel vuoto nel quale si insedia il nuovo clima politico europeo, di tendenza autoritaria. Di questo (e altro ancora) tratta Virno in questa silloge che, coprendo un ventennio di impegno politico-filosofico, svela gli spunti di partenza dei suoi più ‘distesi’ libri, da Convenzione e materialismo sino a Grammatiche della moltitudine. Una scelta di testi disposti in ordine non cronologico, ma tematico, e che vale leggere dapprima senza verificarne le date di pubblicazione (ma facendo attenzione al nesso tra autobiografia politica e libertà di critica nella sezione Pro domo nostra), per scoprire quanto suoni attuale la “vecchia” critica operaista al lavoro salariato o all’astrattezza formale del diritto: una sorta di genealogia, di tradizione a posteriori del pensiero No-Global. Un cantiere a cielo aperto nel quale, attraverso temi a volte impensati (dalla linguistica di Jakobson e Saussure alla passione per il cinema, dalla riflessione platonica sul non-essere come diverso alla scomparsa dell’operaio di linea), un’astrazione filosofica può trasformarsi in uno strumento col quale percuotere e perforare il muro del potere.