In un momento in cui il dibattito sulla post-secolarizzazione sembra dare per scontato che a una maggiore presenza della religione sulla scena pubblica possa necessariamente corrispondere anche un ritorno individuale alla pratica religiosa, il lavoro di Roberto Cartocci si propone di verificare quale sia lo stato attuale della pratica cattolica in Italia e secondo quale linee storiche di sviluppo la situazione attuale sia venuta determinandosi. Le indagini sociologiche e statistiche necessitano ovviamente di una scelta perspicua degli indicatori che siano allo stesso tempo significativi, ovvero in grado di essere letti come effettivamente rappresentativi dei comportamenti delle persone, e rilevabili in modo omogeneo. Dopo una prima analisi della percentuale di coloro che frequentano le funzioni religiose almeno una volta la settimana, passato tra il 1993 e il 2009 dal 39,2% al 32,5% (mentre quella di coloro che non frequentano mai è passata dal 15% al 19,1%), Cartocci sceglie quattro indicatori specifici per rilevare il "grado di secolarizzazione" delle province italiane (disponibili grazie ai dati ISTAT e delle amministrazioni pubbliche): percentuale di matrimoni civili, di figli nati al di fuori del matrimonio, di studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) e di destinazione dell’otto per mille non alla Chiesa cattolica (calcolata sul numero di coloro che hanno espresso esplicitamente la scelta). Si tratta, come è facile comprendere, di rilevazioni estremamente significative perché direttamente correlate con il rispetto dei precetti cultuali e morali cattolici, e quindi rappresentativi del modo in cui gli italiani aderiscono o si allontanano dalla pratica religiosa cattolica. I dati nazionali sono significativi: la percentuale dei matrimoni civili è passata dal 2,4% del 1951 al 34% del 2006 (al primo posto la provincia di Bolzano con il 59,5%, all’ultimo la provincia di Vibo Valentia con l’11%); quella dei figli nati al di fuori del matrimonio è passata dal 2,3% del 1966 all’8,3% del 2006 (provincia di Bolzano 38,4%, di Potenza 3,9%); quella degli studenti che non si avvalgono dell’IRC è passata dal 6,6% del 1998/99 all’8,8% del 2006/07 (secondo dati relativi alla regioni pastorali, non sempre coincidenti con quelle amministrative, nel 2006/07 si va dal 13,5% del Piemonte al 1,1% della Campania); infine, la percentuale delle scelte esplicite dell’otto per mille non destinate alla Chiesa cattolica nella dichiarazione dei redditi del 2004 è stata del 10,2%, un dato compreso tra gli estremi delle province di Ravenna (30,9%) e di Vibo Valentia (2,1%). Al di là dei confini geografici della pratica cattolica, è possibile sottolineare come la pratica religiosa sia diffusa tra le donne più che tra gli uomini, tra i pre-adolescenti e gli anziani più che tra gli adulti, nelle città metropolitane e nei capoluoghi più che nelle province. La "mappa" dell’Italia che ne emerge non è certo sorprendente e corrisponde in larga misura all’idea ampiamente diffusa di una carta "politica" dell’Italia divisa tra aree in cui la pratica cattolica assume contorni nettamente diversi. A uno sguardo più attento, però, emerge un quadro d’insieme piuttosto definito. Nel dopoguerra il processo di secolarizzazione degli italiani è proceduto a passo spedito e, da questo punto di vista, non è rilevabile un "ritorno" alla religione. Un’ultima osservazione viene riservata alla relazione che talvolta sembra sussistere tra persistenza della pratica cattolica e arretratezza socio-economica; una relazione ampiamente smentita dallo sviluppo economico e sociale (si veda il precedente Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia, Bologna, 2007) delle regioni e province "bianche" del nord Italia.