In un volume che raccoglie numerose ricerche presentate in occasione di convegni e approfondimenti per riviste, Clara Gallini (docente di Etnologia all’Università di Roma) fornisce una dettagliata mappa dei luoghi nei quali si manifesta o si cela un razzismo di tipo particolare: si tratta di tutta quella serie di “icone minime e massime” che formano gli stereotipi etnici. In quegli stereotipi vengono racchiusi e definiti, in confini precisi e semplificati, gruppi e popolazioni. Sono immagini che nel tempo si sono sedimentate tanto fortemente da poter essere trasmesse in un modo che le fa apparire naturali. Anche immagini e situazioni apparentemente innocue, come i depliant turistici e l’artigianato etnico, racchiudono in sè i riflessi dell’epoca coloniale in cui i rapporti con l’altro erano regolati dall’uso della violenza e dall’esercizio del dominio. Per analizzare gli stereotipi, che fanno ormai parte di noi stessi, non è più sufficiente la catetegoria del falso e del vero, ma occorre uno sguardo più distaccato, che indaga nell’ordine del simbolico. Il depliant turistico, gli spot pubblicitari ambientati nel mondo arabo e asiatico raccontano sempre l’inferiorità dell’altro: un’inferiorità che diventa l’unico modo per sviluppare una relazione tra i due mondi che vengono in contatto. Il medesimo tipo di relazione viene rappresentato nelle centinaia di film – catalogati dalla Gallini – che vedono protagonisti gli Arabi: li presentano senza distinzione di origine, mescolano le appartenenze culturali (le storie dei faraoni accanto a quelle persiane) e suggeriscono che il musulmano è perenne fonte di violenze e perversioni (il fanatismo e l’harem). A ben guardare, ipotizza l’autrice, questo stereotipo riflette il nostro volto, il nostro desiderio: volontà di dominio e di potere (riflesso nel sultano dispotico), supremazia del sesso maschile, superiorità della nostra cultura. In queste immagini negative viene a trovare un posto anche l’Africa che è sempre vista come un misto di sesso, animalità e malattie (AIDS e virus Ebola). Se dal rapporto con gli esseri umani ci si sposta a quello con gli oggetti, ci si accorge che è venuta formandosi un’analoga gerarchia di valori. L’oggetto esotico, la produzione artigianale è diventata occasione di sfruttamento di manodopera e di affermazione del nostro “diritto” a possedere i tesori africani e asiatici. Per smantellare e sconfiggere le pratiche e le ideologie razziste e superare i pregiudizi è importante capire, conclude Clara Gallini, che si deve camminare sul filo sottile “della separazione tra due territori, quello della conoscenza e quello delle rappresentazioni”.