Tra le caratteristiche delle culture orali, Walter Oreg (Oralità e scrittura, Bologna, il Mulino, 1986) pone l”omeostasi, il continuo aggiustamento di equilibrio tra ciò che veniva affidato all”archivio limitato della memoria e ciò che passava nell”oblio. La costruzione della tradizione era allora una operazione ”discreta”, che conservava tra le generazioni un legame di memorie e di cultura comuni.
Il libro di Bettini – docente di Filologia classica all”Università di Siena – solleva la questione del rapporto con la tradizione per eccellenza – i classici antichi – in un epoca in cui la cultura tecnologica mette a disposizione una memoria potenzialmente infinita, “indiscreta proprio perché non dimentica nulla”.
Qui il problema si sposta sui criteri di selezione, o meglio sulla insignificanza dei criteri che la “società pubblicitaria” mette in campo: dalla “calendarietà culturale” che seleziona per anniversari (con la netta predilezione per la cifra tonda decimale), al montaggio di citazioni su temi curiosi di attualità che rende completamente muta l”alterità dei classici. Tutti “pettegolezzi”, che denunciano la rottura della tradizione piuttosto che l”operazione con cui, modificandola in modo memore e attento, la si porta con sé.
Il libro di Bettini – scritto in un linguaggio volutamente corrivo con tanta incultura contemporanea – si colloca così al centro di una delle questioni cruciali della modernità: il consumarsi dell”esperienza laddove non è più vitale un rapporto con la memoria comune.
I classici rispecchiano mondi difficili e lontani, ma anche – essendo stati letti un poco da tutti nel corso del tempo – “rappresentano ciò che abbiamo sicuramente in comune con le generazioni che ci hanno preceduti”. A questa familiarità che compare nell”ascolto (“Quando ci si trova a leggere un classico per la prima volta si ha spesso l”impressione di conoscerlo già”) e alla meraviglia che ne segue sembra affidato un compito di ricomposizione della frattura antropologica, che è anche uscita dalla cultura dell”informazione.