I mercanti e il tempio

La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza tra Medioevo ed età moderna


La questione cruciale del passaggio di nozioni economiche dalla morale teologica all’etica imprenditoriale è risultata sempre di difficile valutazione per lo scambio fra argomenti etico-economici e riflessioni di ordine religioso. Attraverso l’esame di categorie quali l’avere, il possedere, il donare e l’investire, l’ampio e accurato studio di Todeschini riesce a testimoniare il graduale emergere di un’accettazione del mercato e degli scambi economici nella precettistica teologica. È soprattutto in ambito monastico, tra VI e X secolo, che l’avere giunge a comprendere la capacità di generare benefici per la società circostante a partire da un modello di auto-spoliazione in cui si può avere tutto senza possedere nulla. Il fondamento dell’etica economica cristiana diventa lo sviluppo organico della comunità cittadina e statale, a loro volta collegate a una più antica nozione di collettività dei fedeli, quella dell’ecclesia. La metafora del corpo cittadino come soggetto da curare grazie alla solidarietà pubblica rinvia palesemente all’equazione cristiana fra comunità ecclesiale e corpo di Cristo. Todeschini rileva l’esistenza di una tradizione testuale in cui si codifica l’uso economico dei beni come funzione tipica dei percorsi di perfezionamento del cammino verso la salvezza. Un altro carattere forte che attraversa il cristianesimo occidentale nel periodo analizzato è la capacità di gestire la realtà economica in senso totale, nella penuria come nell’abbondanza. A partire dal XII secolo si afferma il concetto per cui essere cristiani prevede uno stile di economia materiale che assegna al possedere una funzione strumentale all’aggregazione della società dei credenti. Il modello di riferimento è la parabola dei talenti (Mt. 25, 1-30), in cui viene raffigurato l’uso sapiente e disinteressato dei beni terreni. Fondamentale diventa, al tempo stesso, l’appartenenza all’assemblea dei fedeli di radice evangelica: chi viene a trovarsi extra ecclesiam si troverà ad essere privo di credibilità morale ed economica. E’ in questo ambito che si colloca la complessa questione del rapporto con gli ebrei e dell’usura. La condanna dell’usura non significò un’avversione incondizionata nei confronti delle transazioni creditizie, bensì la negazione dell’accumulazione di ricchezze socialmente inutili. Il mosaico linguistico cristiano tra medioevo ed età moderna, scrive in conclusione l’autore, non ha escluso la morale dall’economia, ma ha piuttosto codificato i comportamenti economici e le relazioni contrattuali come effetto di una socialità contenente in se stessa i caratteri dell’eticità, al punto di santificare le logiche mercantili.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2002
Recensito da
Anno recensione 2003
Comune Bologna
Pagine 532
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