Dall’incontro tra uno psicologo, Ugo Morelli, e un filosofo, Luca Mori, sullo sfondo della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio di Trento, nasce questo libro, che si avvale anche dei preziosi contributi di Alfonso Maurizio Iacono e Carla Weber. Al centro dell’indagine vi è l’interrogativo sul rapporto tra autonomia e relazione. Tradizionalmente si è portati a considerare l’autonomia come qualcosa di alieno rispetto alla dimensione relazionale, se non addirittura di contrapposto. Ma quello che la lettura del testo sembra suggerire è che a dover essere messa in discussione è proprio la natura di questo rapporto, che non deve tanto essere interrotto quanto piuttosto ripensato: il tentativo di un individuo o di un gruppo di affrancarsi da un’autorità, e di raggiungere così l’autonomia, ha il proprio terreno d’azione solo nell’ambito della relazione, la quale può modificarsi ma non essere annullata del tutto.
L’idea di fondo di Morelli e Mori è che si possa guardare ai due modelli di potere tradizionali, quello più verticale, di impronta autoritaria, e quello più orizzontale, orientato invece a un’ottica di tipo relazionale, come a due "codici", a due sistemi intrinsecamente codificati. Il codice del primo di questi due sistemi è quello "paterno". Il codice paterno è a tutti gli effetti un codice di potere in cui c’è qualcuno che detiene questo potere (il padre) e qualcuno che lo subisce (il figlio). Questo tipo di rapporto non costituisce perciò una relazione ma soltanto una subordinazione: quella del figlio nei confronti del padre. Analogamente, il raggiungimento dell’autonomia e la costruzione dell’identità individuale non sono possibili all’interno di un rapporto così concepito, a meno che non si giunga a una rottura del rapporto stesso. Il potere dispotico esercitato dal padre non lascia infatti spazio alle esigenze di autonomia del figlio, ai suoi tentativi di far emergere la propria identità autonoma e individuale. Diversa è l’ottica orizzontale del codice "materno" che proprio nella relazione vede invece il terreno privilegiato sul quale edificare, su basi dialettiche, le istanze di autonomia inoltrate dal figlio nei confronti del genitore. La relazione non è in questo caso d’ostacolo al raggiungimento dell’autonomia, ma ne è al contrario il collante fondamentale. Fuori dalla relazione non vi è autonomia possibile perché in un contesto che non sia relazionale anche l’apprendimento è negato: laddove alla partecipazione si sostituisce la trasmissione viene infatti meno la possibilità di apprendere. Solo dallo scambio reciproco nasce il sapere.
Ma come si traduce questo paradigma sul piano politico? Il codice paterno allude a un potere esercitato frontalmente e verticalmente; tra governanti e governati c’è una netta separazione, i primi stanno "in alto" e i secondi "in basso" e non si dà la possibilità di un’interazione tra le due parti. Per certi versi più fragile e ambiguo è il modello mutuato dal codice materno. In democrazia infatti, a differenza di quello che avviene nei regimi totalitari, sono maggiori i rischi di una rottura dell’ordine costituito e questo proprio perché il potere democratico è per sua natura vulnerabile. Ma questa vulnerabilità è al tempo stesso plasticità, è la caratteristica imprescindibile di ogni ordinamento democratico in quanto è l’elemento che garantisce il raggiungimento di un piano di uguaglianza tra governanti e governati. Qui non si hanno più un "alto" e un "basso", un "dentro" e un "fuori". Il codice materno prelude così a un potere orizzontale ed inclusivo, concretamente partecipato. L’ottica partecipativa non è tuttavia un’ottica pacificata. In essa non trovano soddisfacimento tutte le richieste inoltrate dai "partecipanti", ma si verifica quella che Morelli e Mori definiscono "negoziazione partecipata", la tensione cioè tra esigenze diverse, forse non tutte risolvibili ma senz’altro risolvibili da tutti: dal processo di partecipazione nessuno è escluso e questo aspetto è centrale per comprendere la differenza tra codice paterno e codice materno del potere. Solo lo strumento partecipativo, prerogativa del codice materno, è in grado di tutelare quelle istanze di cambiamento senza le quali non potrebbe esserci progresso, inteso come slancio utopico rivolto a una prospettiva di miglioramento. Il volume, scritto a quattro mani ma dall’impianto fortemente unitario, si colloca a metà tra la filosofia e la pedagogia. Gli studi condotti da Mori sul tema del consenso offrono una chiave di lettura originale sul problema del potere e del suo esercizio, illuminando quelle zone d’ombra che rendono la questione filosoficamente rilevante; la lunga esperienza di Morelli nel campo dell’applicazione delle scienze psicologiche alle forme di vita organizzate declinano la questione in un ambito più strettamente pedagogico, contribuendo a rendere il testo uno strumento utile per la sua trasversalità.