Negli ultimi quindici anni, il progetto teorico proposto da Dan Sperber è venuto sempre meglio definendosi, e quest’ultima opera cerca di fare il punto sull’attuale stato della ricerca. Secondo Sperber antropologia e sociologia mancano di un ben meditato approccio naturalista al loro oggetto di studio. In particolare, l’obiettivo di Sperber è quello di fornire alle scienze sociali una teoria della diffusione della cultura, nel senso più ampio che sia possibile dare a questo concetto, in grado di descrivere secondo il principio di causa-effetto le modalità attraverso le quali le rappresentazioni – da intendersi come una categoria prossima ai memi di Dawkins – si distribuiscano all’interno delle diverse società, scomparendo o sopravvivendo ai loro mutamenti. L’elemento naturalistico è dato dalla riduzione dei fenomeni culturali alla loro espressione individuale: ogni individuo in determinati contesti si comporta secondo determinati modelli, i quali possono essere definiti collettivi o culturali proprio in ragione del fatto che un numero più o meno grande di individui li rende attuali nelle medesime situazioni. Tale riduzione individualistica si concretizza in una teoria della comunicazione delle rappresentazioni mentali che divengono in tal modo pubbliche e come tali influiscono sulla formazione di altre rappresentazioni mentali, alcune destinate a esaurire i propri effetti materiali in tempi effimeri (un gesto, una smorfia, ecc.), altre a mantenersi e a diffondersi attraverso una continua reduplicazione (istituzioni). E’ proprio il carattere reduplicativo costitutivo delle rappresentazioni che divengono “cultura” che consente a Sperber di definire il proprio modello come epidemiologico. Viene così posto l’accento sulla trasmissione da individuo a individuo delle rappresentazioni che apre alla possibilità di una interpretazione evoluzionista della sopravvivenza e della diffusione delle medesime. Ciò non dimenticando che il caso delle duplicazioni identiche è la norma in biologia, ma una assoluta eccezione per quanto riguarda le rappresentazioni. Ne consegue la necessità di una teoria modulare della mente che riconosca l’esistenza di moduli mentali che non corrispondano alla prassi delle diverse discipline, ma ne siano allo stesso tempo indipendenti e costitutive, quali, secondo Sperber, la categoria di sostanza e i procedimenti tassonomici. Di Sperber ricordiamo: Per una teoria del simbolismo, Torino, 1981; Il sapere degli antropologi, Milano, 1984; L’epidemiologia delle credenze, Milano, 1994 e con D. Wilson, La pertinenza, Milano, 1993.