Nel corso della ricerca della “cosa” del pensiero vi è un luogo senza nome che è stato da Heidegger più volte attraversato e allo stesso tempo sistematicamente cancellato dal tracciato; un luogo volutamente dimenticato che costituisce un punto di orientamento e che offre le coordinate dello snodarsi, di tappa in tappa, della storia della filosofia come storia dell’Occidente. Tale luogo a partire dal quale Heidegger può tracciare il cammino o, per meglio dire, l’erranza del pensiero occidentale, è quello relativo alla lingua e alla cultura ebraico-giudaica. Secondo Zarader l’indicazione dell’orizzonte impensato della filosofia assume le caratteristiche di una sorta di arretramento, che dall’irrigidità tradizione metafisica giunge al suo fondamento platonico-aristotelico, da questo al luogo mattinale greco e da qui oltre la Grecia, verso quel luogo in cui, al di là del greco, trova riparo la lingua tedesca. A tal punto la domanda ineludibile che Zarader ripete in più passi del testo, con una giustificata insistenza, è: come Heidegger ha riconosciuto nei presocratici prima e nell’antico tedesco poi, il logos obliato, la parola inaudita, l’unica in grado di dire l’essere? Cosa gli ha reso possibile questo intendere, questo ascoltare? Come ha educato il proprio ascolto? Heidegger ha definito un cammino e gli ha assegnato un punto di partenza, “ma un punto di partenza al quale manca sempre qualcosa. Gli manca ciò che gli permette di funzionare come tale, di mettersi in movimento”. In sostanza: partendo da dove Heidegger ha potuto compiere il passaggio dalla definizione tradizionale di pensiero – cioè greca e metafisica – come com-prensione, attraverso la ragione, di ciò che si presenta, alla concezione di un pensiero come accoglimento e memoria di ciò che si ritrae? La conclusione a cui giunge Zarader, che mette in evidenza i sorprendenti punti di contatto tra le nozioni heideggeriane di linguaggio, dialogo – nel senso di dualità di appello e di ascolto – e memoria con quelle della tradizione ebraico-giudaica, è che Heidegger si sarebbe servito di categorie di pensiero ereditate dai giudei per rapportarsi all”approccio al problema dell’essere ereditata dai greci. Un”eredità passata sotto silenzio o, come la pensatrice aveva già affermato in Heidegger et les paroles de l’origine (Vrin, Paris, 1986), un “debito impensato”. Ma è questo l”unico debito impensato di Heidegger e della filosofia che lo ha preceduto? Come suggerisce Massimo Marassi, traduttore del testo, il compito della filosofia è ora quello di pensare a tutte le eredità che educano “al carattere abissale di ogni disvelatezza, al pensiero della Differenza, e finalmente al simultaneo svelamento-velamento dell’essere nella storicità degli enti”.