In questa raccolta di saggi Ginzburg propone una riflessione sul mestiere dello storico e sul rapporto tra verità storica, finzione e menzogna. L'analisi converge verso un punto di fuga centrale: la sfida alla prospettiva scettica postmoderna, che tende a sfumare il confine tra narrazioni di finzione e narrazioni storiche in nome del comune elemento costruttivistico. Ginzburg legge il confronto tra queste due forme di narrazione come una contesa per la rappresentazione della realtà. Le indagini, i ritrovamenti di testimonianze e le spiegazioni delle radici storiche – come la conversione degli ebrei di Minorca nel 417-418, la preistoria francese dei falsi Protocolli dei Savi di Sion, lo sterminio della comunità ebraica di La Baume nel 1348, il ritrovamento di Israël Bertuccio ne Il Rosso e il nero di Stendhal – si fondono agli studi critici e ai confronti con opere storiografiche, filosofiche, antropologiche e letterarie. Così i testi di Montaigne e di Voltaire, di Auerbach, Kracauer e Peter Brown affiancano i testi principali della storiografia antica e moderna allo scopo di analizzare come «la finzione, nutrita dalla storia, diventa materia di riflessione storica». Lo sguardo retrospettivo sui modi di analisi storica è inscritto nello spazio d'azione di un paradigma metodologico che estende il campo della materia storica, facendolo ruotare attorno all'asse del rapporto con la verità: le opere metodologiche significative sono anche opere empiriche. Allora è proprio scavando dentro i testi, contro le intenzioni di chi li ha prodotti, che emergono voci incontrollate e testimonianze involontarie, isolando frammenti di verità all'interno della finzione: realtà, immaginazione e falsificazione si contrappongono reciprocamente proprio mentre si intrecciano e si alimentano a vicenda. Arnaldo Momigliano e Marc Bloch sono i primi autori che incontriamo, esempi concreti di una svolta che non è sfiorata dallo scetticismo, perché si rivolge anche a «ciò che sta sotto l'evento, ossia la mentalità, le tecniche, la società, l'economia», alle tracce involontarie che testimoniano la verità della storia. Nel volume Rites of Power (1985) il curatore, Sean Wilentz, si domandava se è utile capire dove divergano la retorica storica e la realtà storica, contrapponendo storici come Natalie Zemon Davis e Carlo Ginzburg ai sostenitori dei rischi di un "idealismo antropologico" nella ricerca storica. Per parte sua Ginzburg ha una risposta a questo domanda: «Gli storici (e, in modo diverso, i poeti) fanno per mestiere qualcosa che è parte della vita di tutti: districare l'intreccio di vero, falso, finto che è la trama del nostro stare al mondo».