Due fatti contribuiscono a collocare Il mestiere di scienziato (resoconto del corso tenuto tra il 2000 e il 2001 presso il Collège de France) al vertice della produzione del filosofo e sociologo francese scomparso all’inizio del 2002. Bourdieu dedica infatti il proprio ultimo corso, da un lato a delineare la peculiarità della propria posizione all’interno del più vasto ambito della disciplina e, dall’altro, a ripercorrere, secondo le modalità e le finalità della teoria sociologica da lui stesso elaborata, il proprio iter di pensiero (cfr. i “lineamenti di un’autoanalisi”, pp. 117-139).
Egli si interroga intorno alla possibilità che la sociologia riesca a risolvere con successo il problema del significato della genesi storica di verità presunte trans-storiche (cfr. p. 11). Stante dunque il carattere storico-sociale della produzione umana di verità (della verità scientifica in primis), in virtù di cui le pretese di quest’ultima vengono relativizzate, Bourdieu si rifiuta tuttavia di trarre la conclusione che l’unico esito possibile sia l’approdo al relativismo nichilista. Al contrario, egli mostra (cfr. prima parte, pp. 15-46) come lo “stato della discussione” si trovi arenato nella sterile contrapposizione tra visioni, da un lato, “idealizzate” e, dall’altro, “ciniche e relativiste” del rapporto tra storia e verità. Quindi, egli propone (cfr. seconda parte, pp. 47-106) di oltrepassare tale stallo teorico mediante la messa a punto di nuovi concetti interpretativi (tra cui, ad esempio, quelli di “campo” e di “habitus”) che riuscirebbero a mostrare come la produzione della verità consista in una dinamica di scontro, coinvolgente molteplici agenti e forze, ma sottomessa a leggi specifiche (dialogiche e argomentative, cfr. p. 90). Solo così – argomenta Bourdieu – si può comprendere come la scienza possa essere quella “costruzione che fa emergere una scoperta irriducibile alla costruzione e alle condizioni sociali che l’hanno resa possibile” (p. 98).
Ma la difficoltà ulteriore che la sociologia si trova ad affrontare è il paradosso per cui, in quanto scienza, si troverebbe ad essere, contemporaneamente, soggetto ed oggetto di studio (terza parte, pp. 107-139). Al fine di evitare che questa circostanza, peraltro inevitabile, degeneri in circolo vizioso, occorre che il sociologo si sottometta preliminarmente ad un’operazione di “autosocioanalisi” (p. 117) tramite cui, divenendo consapevole dei fattori influenzanti la propria ricerca, riuscirebbe ad acquisire strumenti efficaci per esercitare una forma specifica di vigilanza epistemologica (cfr. p. 111).