Pubblicato per la prima volta nel 1938, questo breve saggio sull’origine e la funzione del mito rimane tuttora uno dei migliori esempi di sistematizzazione di un fenomeno complesso come quello della creazione e della ritualizzazione dei miti. Partendo dal disegno dialettico dell’evoluzione delle varie scuole che hanno elaborato l’esegesi del mito, Caillois evidenzia come tutte abbiano costruito modelli e teorie solo parzialmente accettabili, chiuse entro gli angusti limiti delle singole discipline. Secondo l’autore, infatti, il mito non può essere che il risultato di determinazioni esterne, fatte di informazioni, riti, obbligazioni che esistono in quanto corrispondenti ad una sensibilità interna dell’individuo. L’esercizio intellettuale di coniugare e sistematizzare risultati di discipline diverse porta Caillois a parallelismi sorprendenti tra il comportamento degli insetti e quello degli esseri umani, presentati come anelli estremi di diverse catene evolutive. Il capitolo dedicato all’enorme potere evocativo di un insetto come la mantide, parte delle narrazioni mitologiche di quasi tutto il globo, in epoche fra loro diverse, rappresenta la migliore sintesi del tipo di procedimento che Caillois segue nelle sue ricerche. Uomo e mantide appartengono allo stesso universo biologico: il comportamento sessuale della mantide afferisce ad un carattere primordiale dell’uomo (la sovrapposizione fra comportamenti sessuali ed alimentari, variamente illustrati) e corrisponde ad un tema mitologico (quello della “pericolosità” per l”uomo dell’atto sessuale) che ne esalta l’immaginazione. L’essere umano quindi non sfugge alle leggi dell’istinto, ma queste operano su di lui in modo non evidente, non condizionando direttamente la sua azione, ma la rappresentazione dell’azione, che l’uomo crea attraverso le affabulazioni letterarie (considerazioni che Caillois mutua in parte da Bergson) e che poi cerca di concretizzare nella riproduzione rituale della narrazione mitologica. Ben lontano quindi dal considerare i miti come manifestazioni di popoli inferiori (come il suo contemporaneo Lévy-Bruhl), Caillois, pur riconoscendo che le fondamenta delle società contemporanee non si reggono più sul mito, rimane convinto che nell’uomo permanga “una zona d’ombra, che estende il suo impero notturno sulla maggior parte delle reazioni della sua affettività nonché dei procedimenti della sua immaginazione e con la quale il suo essere non può cessare per un istante di fare i conti e discutere”.