A distanza di vent”anni dall”ormai classica analisi di Harvey Cox sulle promesse e i pericoli dell”incipiente “svolta ad Oriente” della cultura occidentale, si è consolidata la certezza di trovarsi di fronte non più ad una moda effimera bensì ad un”esigenza autentica, tesa a colmare un diffuso vuoto interiore. Da tali premesse prende le mosse l”ultima fatica di Terrin, docente di Filosofia e Storia delle religioni presso le università Cattolica di Milano e di Urbino, tra i pochi ad occuparsi nel nostro paese di religioni comparate alla luce di un rigoroso indirizzo fenomenologico: la cui tesi è che sempre più spesso l”identità cristiana passa oggi attraverso una particolare attenzione al “respiro religioso” offerto dall”induismo e dal buddhismo, e che una simile “avventura” è in grado di trasformarla profondamente (anche se il cammino è ancora lungo e il contatto esperienziale ancora “statu nascenti”). Dopo un saggio introduttivometodologico, in cui si propone di utilizzare la fenomenologia delle religioni come un”opportuna “longa manus” per la teologia, l’autore presenta in modo tanto sintetico quanto efficace le principali tematiche delle fedi indiane, intrecciandoli di volta in volta con le corrispondenti argomentazioni del cristianesimo: dall”ahimsa (nonviolenza) alla santi (pace), dall”esperienza della trascendenza nel buddhismo al dolore (duhkha) inteso come ricerca inesausta di un irraggiungibile “sé”, dalla catena della causazione rapportata alla concezione di “peccato” al motivo centrale di ogni religione, il Dio/Assoluto. Chiude il testo un utile glossario dei termini più importanti riportati nel libro. Certo: tra induismo, buddhismo e cristianesimo non vi sono risposte precostituite né alcun rapporto “uno a uno” sui diversi motivi religiosi, ma piuttosto suggerimenti, intuizioni, verità in movimento; e più che esperienze fatte, esperienze via via da fare. Se, ad esempio, sostiene Terrin, la verità del dolore che attraversa da parte a parte l”esperienza buddhista possa essere trascritta nel grande tema cristiano della “meditatio mortis” o se la ricompensa “karmica” possa essere avvicinata alla tesi del peccato originale, va sì chiarito dottrinalmente, ma va anche compreso dal punto di vista squisitamente esperienziale e religioso. L”ampio e documentato panorama che ne deriva si rivela intrigante e ricco di analogie sorprendenti, pur non cedendo mai all”illusione di un dialogo interreligioso “a basso prezzo”. Non si tratta dunque di cercare un ‘irenismo di maniera’, né tanto meno di modificare le concezioni cristiane per renderle più accettabili in una contestualità sfumata e fumogena, ma della consapevolezza che i grandi problemi passano e attraversano tutte le grandi religioni e hanno ripercussioni analoghe in tutti gli ambiti.