Il rito non è l’espressione di una «logica continuistica» in un mondo sottoposto a cambiamenti incessanti e tumultuosi, ma un «ordinatore dell’esperienza di senso» e uno specchio che riflette storia e vissuti dell’uomo e della comunità. La frammentazione, il continuo mixage dei linguaggi e la tendenza post-moderna al bricolage provocano la nascita di ritualità nuove e pongono nuovi interrogativi all’antropologia e alla teologia, alle scienze del linguaggio e alla liturgia.
Di questi temi si occupa Aldo Natale Terrin, in questo libro dedicato al rito nella prospettiva dell’antropologia e della storia comparata delle religioni. Il volume si suddivide in due parti. La prima si configura come una ricognizione sui temi più strettamente antropologici, mentre la seconda, di taglio più ermeneutico, indaga sulle coordinate fondamentali del rito, cioè lo spazio e il tempo. La tesi che fa da «cerniera» tra l’una e l’altra riflessione considera il rito un agire che sviluppa al suo interno una «pragmatica trascendentale» poiché si propone di evitare la «logica dei doppi pensieri». «Agire in un dato modo – scrive Terrin – significa indurre a pensare in un dato modo e poiché l’azione non è mai ambivalente, restia, equivoca, incerta, il compiere azione rituale significa costringere il pensiero entro le maglie dell’azione chiara e significativa». In altri termini, il rito assume un valore epistemologico, nel senso che insegna ad agire in maniera ordinata per pensare in maniera ordinata. L’ultimo capitolo del libro, dedicato alle performance del post-moderno, si confronta invece con la deriva dei miti e dei meta-racconti, con la creolizzazione dei linguaggi e la tendenza al bricolage. Le performance del post-moderno si muovono all’insegna di una ritualità senza miti – come accade ad esempio alla moda, al gioco del calcio e alla flânerie – attraverso stili di vita sostitutivi della ritualità religiosa e una scomposizione dei mondi simbolici. Tuttavia, nella frammentarietà dei segni si fa strada l’esigenza di una visione olistica capace di legittimare il frammento, tutti i frammenti, di mantenere il rapporto con il corpo, i codici sensoriali e l’ambiente circostante, ricreando l’intero significato attraverso il trascendentale dell’azione rituale. Oggi, conclude Terrin, la cultura e le religioni hanno bisogno di manternere la visione olistica della realtà pur sapendo di lavorare quotidianamente e incessantemente entro il particolare, entro il «frammento».