L’agile volume di Gigliola Fragnito, docente di Storia moderna all’Università di Parma, consente di ricostruire il complesso percorso della produzione delle bibbie in volgare, fino alla loro proibizione nel 1596. Il volume è arricchito dalla consultazione dell’Archivio della Congregazione per la dottrina della Fede e quindi permette di documentare il modo in cui si giunse a quella decisione. L’opera di distruzione dei testi sacri, sostiene l’autrice, ha prodotto effetti le cui conseguenze sono ancora vive ai giorni nostri, anche se vi sta ponendo rimedio. Infatti i testi proibiti – che comprendevano edizioni della Bibbia, dei Salmi, di singoli Vangeli e opere devozionali di minore rilievo – avevano raggiunto gli angoli più remoti del territorio italiano e, stando agli elenchi dell’epoca, godevano di una diffusione molto vasta, tanto da poter affermare che la loro lettura era una consuetudine anche presso la popolazione meno istruita. Interrompendo questa familiarità, vietando il possesso di opere in volgare che sfuggivano al controllo del vertice della Curia romana, si pose fine al rapporto personale del fedele con la Sacra Scrittura e si costruirono le premesse per una disaffezione che, nonostante l’impegno seguito al Concilio Vaticano II, deve ancora essere registrata. I motivi di quel divieto andavano cercati in parte nel desiderio di fermare sul nascere la diffusione della dottrina protestante – in questo modo si diffuse l’equazione Sante Scritture/eresia – e in parte nel tentativo di guidare la formazione culturale del fedele: in questo modo si colpirono testi di Dante, Boccaccio, Poliziano che soltanto marginalmente interessavano le questioni teologiche. Grande ruolo ebbe anche il conflitto tra la Congregazione dell’Inquisizione e i vescovi ordinari: questi ultimi videro sottrarsi materie di loro competenza (molti vescovi avevano tollerato l’utilizzo dei testi in volgare anche dopo la promulgazione dei primi divieti a partire dal 1559) e come riflesso rallentarono notevolmente la loro azione pastorale. Va poi sottolineato l’aspro contrasto che divise la Congregazione del Sant’Ufficio dalla Congregazione dell’Indice che si dimostrò preoccupata di non sottrarre al popolo l’unica fonte di conoscenza diretta delle Scritture. La loro disputa spiega l’alterna vicenda di divieti e concessioni che precedette la definitiva stesura dell’indice Clementino (1596) per il quale lo stesso papa dovette subire pesantissime pressioni da parte del Sant’Ufficio, che riaffermò la volontà di controllo sulla gestione delle credenze e dei comportamenti del popolo cattolico.