In questo volume Michele Ciliberto analizza le patologie della democrazia contemporanea utilizzando la lezione dei classici, da Tocqueville a Marx, da Weber a Croce, da Mann a Gramsci. Il punto di partenza è la degenerazione populista rappresentata dal dispotismo ‘morbido’ tipico delle post-democrazie europee a cavallo tra XX e XXI secolo (con particolare riguardo alla realtà italiana), ma lo sguardo è di più ampia portata, sia storica che teorica. Dal punto di vista storico nel volume si ripercorrono i principali passaggi della politica europea, in particolare la costituzione del paradigma della «politicizzazione di massa» del Novecento e il suo abbandono con il processo di individualizzazione avviato con il Sessantotto. Dal punto di vista teorico, invece, vengono analizzate le caratteristiche delle post-democrazie contemporanee, in particolare la profonda crisi del rapporto tra governanti e governati e il conseguente declino della rappresentanza politica e sociale, che ha determinato un’incapacità progettuale di favorire la partecipazione politica su una nuova base culturale e ha dunque favorito un’ulteriore degenerazione plebiscitaria e carismatica tipica dell’isolamento sociale in cui si sviluppa la democrazia dispotica. Il principale merito del volume consiste nell’inserire questa analisi delle post-democrazie contemporanee all’interno della deriva di lungo periodo della democrazia moderna caratterizzata, da un lato, dalla frantumazione delle identità collettive e, dall’altro, dalle nuove forme di passività che hanno completamente tolto significato a parole quali partecipazione e autogoverno. La democrazia dispotica è infatti l’esito del cortocircuito democratico tra demagogia e autoritarismo, visto che fonda il proprio potere su un largo consenso e su una solida egemonia culturale. È il pericolo già segnalato da Tocqueville: all’essenza della democrazia non è estraneo l’avvento di una società passiva, statica, socialmente frammentata e incapace di effettivo mutamento, governata in modo paternalistico da un potere che parla non alle classi, ma agli individui isolati, chiusi nei loro interessi privati e contrapposti gli uni agli altri.
L’analisi di Ciliberto attraversa questioni politiche recenti tipiche della realtà europea, e in particolare italiana (l’aumento delle diseguaglianze, la crisi del pubblico e del sindacato, l’ostilità contro gli immigrati, la deriva dell’ethos repubblicano, la degenerazione oligarchica dei partiti, il trasformismo), ma non intende fermarsi sulla cronaca né fornire ricette direttamente applicabili allo scopo di trovare soluzioni immediate al dispotismo democratico, anche perché l’attuale crisi democratica è l’esito di una deriva di lungo periodo. La soluzione alla degenerazione democratica non passa infatti da facili scorciatoie di modernizzazione (tra cui l’appiattimento su un modello liberale tecnocratico ‘temperato’), ma attraverso la costruzione di una cultura e di un linguaggio politico in grado di restituire una reale autonomia ai cittadini attraverso una critica dell’ideologia dominante, recuperando la centralità della partecipazione e del conflitto all’interno degli spazi democratici, in primis nei luoghi di lavoro. E per questo è necessario che vengano costruite forme di aggregazione e corpi intermedi in grado di rimediare all’isolamento degli individui, riconnettendoli in una serie di legami politici e sociali necessari per uscire dalla servitù e per ristabilire il nesso tra democrazia, eguaglianza e libertà.