Le polemiche sull’identità europea riflettono una più diffusa necessità storico-culturale di individuare i caratteri fondamentali del mondo occidentale in radicale mutamento. La comprensione dell’attuale epoca di “passaggio” è infatti spesso demandata a tentativi di sintesi di lungo periodo della storia europea: negli ultimi anni abbiamo assistito a importanti sforzi di sistematizzazione dell’eredità europea, da Derrida a Habermas, da Morin a Cacciari. Tra questi, si inserisce a pieno titolo il recente lavoro di Biagio de Giovanni, che accetta una sfida inconsueta, quella di individuare l’identità europea non in una “radice” storico-culturale, ma nel principio filosofico hegeliano della mediazione (tra unità e molteplicità, tra ragione e potenza). Identità, allora, non è tanto origine presupposta, quanto processo di realizzazione o, almeno, è “essere” in quanto “divenire”. L’Europa è dunque coscienza storica perché la sua identità si “produce” (non si “scopre”) nel processo che decide della sua esistenza. Questo compito, oggi del tutto urgente, è stato invece disatteso nell’epoca post-hegeliana di finis Europae, in cui si è dissolta l’unità di ragione e potenza e si è prodotto nichilismo, cioè un particolarismo della pura potenza e della guerra assoluta che ha reso impossibile pensare l’Europa. Per de Giovanni tuttavia la trasformazione geopolitica post-1989 rende possibile ripensare il significato dell’esistenza europea nel mondo globale. Il significato profondo del processo di integrazione e del progetto della Costituzione europea dovrebbe dunque consistere nel tentativo di costruire una nuova connessione tra logica e realtà, espressione di una “molteplicità unitaria” non assimilabile né al tradizionale modello statale, né al globalismo cosmopolitico. Il problema, allora, non è il semplice riconoscimento relativistico della pluralità, ma la produzione storica di una nuova forma politica oltre lo Stato. Solo in questo spazio globale di lotta tra i diversi sguardi sul mondo può rivelarsi, se esiste, una nuova mediazione tra ragione e potenza: in caso contrario, il destino dell’Europa è quello di diventare un “deposito di tradizioni”. De Giovanni offre un contributo di riflessione di lungo periodo (dalla grecità alla respublica christiana, dalle scoperte geografiche alla rivoluzione scientifica, dal moderno jus gentium all’illuminismo, dal nazionalismo al totalitarismo) in grado di riaprire il dibattito sull’identità europea mettendo da parte le polemiche sulle “radici”. Ma non solo: il suo contributo indica infatti anche una via per la ricostituzione di uno sguardo europeo sul mondo che dovrebbe essere parte integrante nelle attuali vicende del Trattato costituzionale europeo.