Nei saggi raccolti in quest”opera, scritti tra il 1954 e il 1997, Vittorio Lanternari pone un problema tra i più rilevanti: se e in che cosa consista l”originalità e la legittimità dell”antropologia teorizzata da Ernesto de Martino, e se, in quanto tale, essa possa tuttora costituire il modello proprio di una scuola antropologica italiana, scuola che prendendo le mosse dall”opera di Raffaele Pettazzoni, ha trovato in Ernesto de Martino, in Angelo Brelich e nello stesso Lanternari i suoi fondatori. Ciò che caratterizza l”opera demartiniana è allo stesso tempo un motivo metodologico, definito da Lanternari come “etnocentrismo critico” e nel quale l”indagine sull”Altro è sempre motivo per una riconsiderazione della propria cultura, della quale non si può mai, comunque, fare astrazione; e anche epistemologico poiché gli “sconfinamenti” disciplinari di De Martino verso la psichiatria conducono al riconoscimento del rischio di crisi della presenza e del ruolo svolto dal rito come riscatto dalla crisi. Crisi che è dunque “antropologica” in senso forte, piuttosto che sociologica. Crisi inoltre che è il risultato del fallimento della società e della cultura come principio d”ordine dell”esperienza umana. E” questo sicuramente un motivo di prossimità dell”antropologia demartiniana alla psicanalisi, ma che si discosta sia dall”opera di Freud che da quella di Jung per una propria concezione della cultura e del ruolo della comunità nella determinazione dell”essere dell”individuo. Infatti, essendo la crisi della presenza una possibilità propria dell”essere uomo, la sua “gestione”, il costituire ostacolo e rimedio alla solitudine dell”uomo di fronte alla crisi è compito precipuo della società, compito terapeutico che perlopiù essa fallisce. Tuttavia, l”introduzione di criteri e concetti d”ambito psicopatologico in etnologia presuppone una concezione “costitutiva” sia dell”essere nel mondo che della cultura in contraddizione con il relativismo proprio dell’etnologia. In De Martino, in particolare, esso è presupposto sia dal riferimento a una concezione della storia di provenienza crociana che dall”assunzione, anche per il forte impegno sociale e politico che ne motivava gli interessi di studioso, delle categorie gramsciane di cultura egemonica e subalterna. Se dunque è possibile riconoscere un”originalità che legittimi l”assunzione dell”opera di Ernesto de Martino come modello per una scuola antropologica italiana, questo è forse proprio grazie alle spinte contraddittorie che ne hanno motivato la ricerca e che egli stesso non è riuscito a risolvere completamente.