Il volume della studiosa romana di filosofia politica si colloca programmaticamente, pur nella sua estrema sinteticità, all’intersezione tra campi distinti del sapere, quali la teologia, la storia della filosofia medioevale e proto-moderna, la storia del dogma e la filosofia politica. La tesi centrale dello studio, che muove da una sensibilità filosofica di evidente derivazione neoscolastica, consiste nell’affermazione della paternità luterana della concezione soggettivistica e antiteleologica del politico (Hobbes): la rinuncia alla funzione di mediazione della salvezza da parte della chiesa e dei sacramenti, la rinuncia all’ analogia entis, che caratterizzava la tradizione tomista e l’accettazione incondizionata di un arbitrarismo volontaristico da parte divina, conduce alla secolarizzazione del politico e al suo sregolato autonomizzarsi rispetto ad ogni riferimento geocentrico. Ipotesi che potrebbe essere oggetto di una feconda discussione, qualora non si fondasse su un radicale fraintendimento del profilo teologico della posizione luterana esposta nel volume. Lutero non ha affatto inteso proporre un’ontologia del male e del peccato e negare la libertà dell’uomo coram mundo, al di là di alcune formulazioni polemiche mai reiterate del De servo arbitrio, come sembrerebbe invece emergere in modo assai confuso in varie sezioni del saggio di Cotta, quanto invece un’ontologia della giustificazione per il tramite della fede in virtù dei meriti di Cristo: egli ha annunciato l’Evangelo, il volto misericordioso e compassionevole di Dio, che si rivela in un gesto supremo d’amore incondizionato nel Crocifisso. Nonostante il timido ripensamento del von Loewenich sul tema, il Deus asconditus non è anzitutto il Dio del nominalismo quanto piuttosto il Dio rivelato sub contraria specie nell’umanità kenotica del Cristo. Appare sconcertante il fatto che il fondamento della persona venga identificato nel peccato, anziché nella fede suscitata dalla Parola esteriore del Vangelo (fides facit personam): la natura dialettica e ontologico-relazionale del pensiero del Riformatore viene fraintesa in quanto ricondotta forzatamente nell’ambito di una ontologia trasformativa e analogica del tutto estranea all’orizzonte speculativo del Riformatore. In una tale ipotesi di lettura, il pensiero teologico, etico e politico di Lutero appare conseguentemente e inevitabilmente afflitto da numerose contraddizioni, che lo delegittimano come foriero del vero o presunto “male radicale” del moderno: Lutero è la gramigna che conduce a Hegel, a Schelling e all’ateismo di Nietzsche.