Gerhard Ebeling (1912-2001), “maestro” di generazioni di teologi a Tubinga e a Zurigo, è stato uno degli indiscussi protagonisti della storia della teologia evangelica del Novecento, quasi quanto i suoi maestri Barth, Bultmann e Bonhoeffer, anche se la sua figura non è così nota e studiata in Italia. Ai più, soprattutto ai filosofi, Ebeling è noto, quasi esclusivamente, per essere stato, insieme al biblista E. Fuchs, il padre della “teologia ermeneutica” del Novecento e uno tra i protagonisti della ricezione teologica del “secondo Heidegger” a partire dagli anni Cinquanta.
Il volume di Sergio Carletto, ripercorrendo la biografia intellettuale del teologo berlinese, consente al lettore di scoprire nuovi tratti della sua “esistenza teologica” e di individuare in lui uno tra i più fini interpreti contemporanei del pensiero di Lutero: non si trattò di un interesse puramente storico-filologico, poiché egli, grazie ad una complessiva rilettura dell’opera del Riformatore, avviata sin dagli anni Trenta, venne scoprendo ed enucleando i tratti di un’originale ontologia relazionale della “giustificazione per fede”, che approfondì successivamente nella “Dogmatica”. La vera rivoluzione di Lutero, rispetto alla tradizione cattolica, consisterebbe in una rinnovata definizione dell’uomo “nuovo”, di matrice squisitamente biblicocristocentrica: “hominem iustificari fidem” (“la fede giustifica l’uomo”), che intendeva porre in luce come la teologia non potesse considerare come esaustiva dell’antropologico la definizione “naturalistica” aristotelica (“animal rationale”). Il cristiano non può parlare di Dio e del suo stesso essere individuale e collettivo (del mondo) “remota fide” ovvero “remoto Cristo”, in sintesi prescindendo dall’evento salvifico-rivelativo della croce del Figlio, in cui si manifesta l’incondizionatezza della misericordia divina nei confronti dell’umanità peccatrice. Intorno a questo cuore pulsante, e in un inesausto tentativo di comprendere le ragioni delle difficoltà crescenti (non solo pastorali) dell’annuncio della parola (Legge e Vangelo) nel contesto della secolarizzazione, si vennero sviluppando e dipanando, nello spazio del cinquantennio post-bellico, gli interessi di Ebeling per i molteplici ambiti della teologia. Ebeling fu uomo del dialogo, ma non fu mai accondiscendente verso le cangianti mode della teologia, né indulgente nei confronti dei facili “irenismi” che mettono a rischio l’essenziale del Vangelo (ciò anche in campo ecumenico nel dialogo luterano-cattolico), ma seppe mantenersi fedele sino all’ultimo a quello spirito, che lo indusse, giovane pastore, a denunciare, nelle sue “prediche illegali” degli anni 1939-1945, il carattere idolatrico e anti-cristiano dell’ideologia nazionalsocialista.