La formazione di un sistema antigiudaico è avvenuto per gradi e la sua anima profonda si radica in quella che può essere definita come una “visione sostitutiva” (per la quale un nuovo popolo subentra all’antico). Tuttavia, sottolinea Stefani, il Nuovo Testamento presenta ebrei che predicano il vangelo sia a ebrei che a gentili. È invece a partire dal II secolo che comincia ad apparire un “noi” cristiano che pretende di giudicare e sostituire la componente ebraica e pagana, che sente la necessità di distinguersi dagli ebrei, di respingere le interpretazioni gnostiche, e che si qualifica come il “verus Israel”. In questo modo l’antigiudaismo cristiano viene incluso nella teologia della storia gettando le fondamenta della prospettiva, che si consoliderà nel Medioevo, in base alla quale la Chiesa, pensandosi sempre meno come comunità dei chiamati di Israele, si configura come una totalità in cui tutti devono entrare. Presentandosi come “nuovo Israele”, sottolinea l’autore, il cristianesimo non esprime tanto una pura ed esplicita avversione diretta contro gli ebrei, quanto una forma di strumentalizzazione e di dipendenza, tipica di tutte le strutture in cui la definizione di se stessi si regge sul confronto con un altro. L’antigiudaismo e la teologia della sostituzione sono state le grandi prospettive adottate in passato per definire Gesù senza legarlo al popolo d’Israele, facendone anche il segno di una frattura non ricomposta tra chiese cristiane e giudaismo rabbinico. Con ogni probabilità, afferma Stefani, senza lo sterminio nazista la coscienza cristiana non avrebbe mai aperto alcun processo di radicale ripensamento della propria tradizione antigiudaica. In realtà, avverte l’autore, non bisogna rendere equivalenti due prospettive dotate di spessore assai diverso: un conto è assumere Auschwitz come luogo estremo di interrogazione sull’uomo e sul silenzio di Dio; altra cosa è sostenere che quella catastrofe costituisce la base del rinnovamento della visione teologica cristiana relativa al popolo ebraico. Un punto di svolta fondamentale è avvenuto con l’affermazione dell’attuale pontefice secondo cui l’alleanza tra Dio e il popolo ebraico non è mai stata revocata. Tuttavia ci si deve chiedere quale significato abbia per Israele la sua elezione e quali siano le principali conseguenze che la “coscienza cristiana” deve trarre una volta accettata tale dichiarazione. Il pensiero teologico, conclude Stefani, deve tornare a indagare sull’antica autocoscienza di una Chiesa costituita dai chiamati da Israele e dalle Genti, indicando come annuncio evangelico e perennità dell’alleanza tra Dio e Israele possano appartenere a uno stesso ambito.