Un’appassionata ricerca che raccoglie interventi apparsi su diverse riviste nell’arco di un decennio sull’evoluzione del rapporto tra ebraismo e scrittura e una convinta descrizione del racconto biblico come “grande codice” della cultura occidentale e non soltanto come testo dogmatico. Sono questi i poli all’interno dei quali si muove l’importante lavoro di Salvarani. Occorre però ricordare i molti altri temi che si intersecano e convergono nei due principali: la vicenda intellettuale di Primo Levi, la sublime arte di Chagall, il necessario incontro tra preghiera e poesia, l’interrogativo sul senso della sofferenza che ha prodotto un’enorme mole di pagine letterarie che interpellano la teologia e danno la voce “a quanti non furono in grado di parlare, pregare e neppure di gridare”. Tutti questi temi concorrono a formulare l’auspicio che anche l’arte di oggi possa “offrirsi quale utile e indispensabile supporto per il dialogare con Dio”. Comunque lo si affronti, questo testo non può non sollecitare chi lo legge: il teologo trova incalzanti interrogativi, lo studioso vede tracciati affascinanti sentieri di ricerca, il lettore “comune” gode di un’ampia e stimolante bibliografia. Il volume riesce a fare piena luce sul significato che la tradizione ebraica ha assegnato alla propria voglia di raccontare, trovando nelle storie della Bibbia eccezionali spunti narrativi che si sono riversati nelle pagine dei suoi più significativi scrittori. La stessa Creazione si concretizza in un racconto. Inoltre, per il mondo ebraico disperso, il raccontare ha rappresentato un potente collante. Un drammatico punto di svolta si è verificato con Auschwitz che da un lato ha sollecitato un’urgenza di narrare ciò che era accaduto (Wiesel, Levi), ma dall’altro ha spezzato “l’innocenza narrativa” che aveva accompagnato gli autori ebrei fino a quel momento. Dopo aver rilevato questa crisi, la seconda parte del volume afferma la certezza che il raccontare non è morto, anche se occorre ripensarne le ragioni, e che proprio l’incontro tra teologia e narrazione, tra poesia e preghiera può dare impulso allo stesso dialogo ecumenico e alimentare le speranze in un mondo in cui “sorga una risposta credibile al perenne bisogno di salvezza”. Lo stato di salute di questo incontro, soprattutto per quanto riguarda l’Italia, denuncia una condizione precaria e il lavoro di Salvarani intende dargli vitalità, constatando che sono disponibili tre ipotesi: una teologia di narrazioni, una teologia esperta nell’analisi delle narrazioni, una teologia che fà i conti con la letteratura.