Il saggio di Levent Yilmaz è, seppur nella sua brevità, di fondamentale importanza. Il giovane storico turco si propone al lettore come un giocatore che fa la sua puntata dopo aver conosciuto il risultato della corsa. Apparentemente il rischio non c’è, ma lo storico non è un giocatore esente da rischi. La prima riflessione cui il lettore è invitato è data dal sottotitolo, dove la scelta del maiuscolo e del minuscolo non appare certo casuale. Il saggio, di piacevolissima lettura, sottolinea il nostro «culto dell’ipercontemporaneo» ed il modo occidentale di vivere la storia al presente, presente che, sempre in tensione verso il nuovo, in certi casi proclama il suo superamento (postmodernismo). Il testo di Yilmaz ci costringe a porci delle domande: perché le nostre società occidentali sono così piene del proprio presente e c’è sempre più presa di distanza dal passato? Perché – come già ha scritto Marc Fumaroli – abbiamo perso quella humanitas che gli Antichi giudicavano tanto preziosa? Perché, infine, alcune idee non hanno più significato, come, per esempio, quella che l’avvenire non sarà nient’altro che la ripetizione del passato o che la Tradizione sia l’unica risorsa alla quale attingere saggezza? Il gennaio 1687 è in genere considerato la data d’inizio della Querelle des Anciens et des Modernes. Charles Perrault in quell’ormai famoso gennaio dette al pubblico i versi «Je vois les Anciens sans plier les genoux, / ils sont grands, il est vrai, mais hommes comme nous», dichiarazione che scatenò un fluire di sentimenti divergenti. La scelta di considerare la querelle in una prospettiva di una cronologia lunga obbliga l’autore a rendere conto di alcuni paradossi come, per esempio, quello enunciato da Paul Valéry, per cui «l’antica Grecia è la più bella invenzione dei tempi moderni», che comunque non ci dice nulla riguardo agli entusiasmi dei nostri contemporanei per l’antichità reinventata. Yilmaz dimostra che la querelle fu il punto d’arrivo, non di partenza, di un lungo e lento sconvolgimento secolare che aveva avuto le sue prime manifestazioni in Dante, Petrarca, Machiavelli, Copernico e Galileo. Egli argomenta questa tesi attraverso brevi pennellate, cercando di rintracciare le origini di una rivoluzione antropologica moderna come rivoluzione temporale dell’Estremo Occidente che sembra voler dominare il resto del mondo con la sua idea di modernità universale, con la sua esaltazione del presente e la propagazione globalizzata del suo regime di valori e di istituzioni.