Nei lunghi decenni della sua “esistenza teologica” e nei suoi innumerevoli contributi luterologici Gerard Ebeling ha saputo con la sensibilità sistematica propria di un grande maestro restituirci un’immagine vitale e stimolante ad un tempo del grande Riformatore. Il quarto volume dei “Lutherstudien” – l’ultimo, al dire del suo autore – è consacrato ad un aspetto “minore”, ma decisivo della produzione luterana: l’imponente “Epistolario” che, edito tra il 1930 ed il 1985, occupa ben dodici volumi della edizione “Weimariana”. Al contrario del contemporaneo Erasmo, l’agostiniano di Wittemberg non ebbe alcuna velleità letteraria nel campo dell’epistolografia, né pensava ad una pubblicazione “post-mortem” delle sue lettere. La dettatura simultanea a più scrivani costituì lo strumento privilegiato di cui si avvalse nella sua inesausta attività di consiglio, di esortazione e di consolazione, rivolta agli amici Riformatori e ai predicatori dell’Evangelo, ma anche ai principi e ai semplici cristiani che gli sottoponevano innumerevoli dubbi o problemi. Poteva trattarsi di un consulto su eventi politici di rilievo – come l’elezione di Ferdinando d’Asburgo a re dei Romani o la imbarazzante bigamia del langravio protestante Filippo d’Assia – ma anche del timore di un amico di fronte all’incombere della peste o alle sorti – è il caso di Melantone – di uno degli innumerevoli “colloqui di religione” con la parte cattolica.
Si trattava di un carico di lavoro non indifferente, che metteva a dura prova la memoria e le capacità intellettive del Riformatore, da lui stesso avvertito come un peso che sottraeva spazio alla predicazione, allo studio della Scrittura, all’attività accademica e dalle altre innumerevoli incombenze della giornata e che gli impediva – come afferma affatto seriamente in tarda età – di recarsi in un giardino o in un parco e di perdervisi nella serena contemplazione dei prodigi floreali e botanici che costellano la creazione divina.
L’obiettivo del lavoro di Ebeling trascende tuttavia la mera curiosità biografica ed intende mostrare il carattere “pastorale” – il termine tedesco moderno più appropriato è qui quello di “Seelsorge” (alla lettera “cura dell’anima”) – e “teologico”, ad un tempo, della maggior parte di questa produzione a torto considerata minore.