Il testo propone una dettagliata analisi del concetto di occidentalismo, da intendersi essenzialmente come quel “nodo di pregiudizi” che innesca il netto rifiuto e la dichiarata avversione verso gli aspetti costitutivi della modernità occidentale. L’assunto guida degli autori, che polemicamente rifiutano la teoria dello “scontro di civiltà” di Huntington, è quello per cui tale odio verso l’Occidente non può essere spiegato “come un problema specificamente islamico”, dato che “l’occidentalismo, come il capitalismo, il marxismo e molti altri ismi, sono nati in Europa prima di essere esportati in altre aree del mondo. L’Occidente è stato la culla dell’illuminismo, del liberalismo, del secolarismo, ma anche dei loro velenosi antidoti” (p. 5). Rintracciare le radici storiche dell’innescarsi della logica “Occidente contra Occidente” permette primariamente di comprendere se è possibile essere critici dell’Occidente all’interno dell’Occidente, senza cadere nell’odio per l’Occidente stesso, al fine di poter difendere con convinzione e responsabilità le nostre libertà politiche, religiose e intellettuali. Rilevando che molte società non occidentali hanno spesso “preso in prestito” pericolose idee europee (come il nazionalismo etnico e la purezza religiosa) per difendersi dalla fagocitazione occidentale, l’analisi aspira a capire cos’è che muove l’occidentalismo lungo alcune idee-chiave e concezioni-guida, quali la “mancanza d’anima” della luciferina superbia metropolitana, specchio della visione dell’Occidente come una civiltà corrotta e decadente (dedita esclusivamente all’utile e al piacere), come il focolaio dell’idolatria che pecca di un eccessivo razionalismo e manca completamente di spiritualità, che privilegia il mediocre e sottovaluta l’eroismo. Gli autori affermano dunque che la critica all’Occidente appartiene anche alla storia europea: come esempi, si rilevano l’avversione antiurbana rintracciabile in Blake e Eliot; la deplorazione verso la “pusillanime tendenza borghese […] nel sottrarsi ai conflitti violenti e ad evitare il lato tragico della vita” (p. 49), presente nel pensiero di Sombart, Spengler e Jünger; la critica all’eccessivo razionalismo, soprattutto in materia di fede religiosa, che trova la sua concrezione nel pensiero di Dostoevskij. Come rileva Adriano Sofri nella Postfazione, il problema sollevato dagli autori è fondamentalmente quello dell’urgenza di difendere l’idea di Occidente, primariamente rendendo “tutti responsabili di sé: senza di che non c’è rispetto per la diversità, né tolleranza reale” (p. 145).