Le quattro interviste raccolte in questo volume – L’irrevocabile, 1967; Riflessioni sulla morte, 1970; A proposito dell’eutanasia, inedito del 1974; Corpo, violenza e morte, 1975 – riprendono e chiariscono alcune delle tesi fondamentali analizzate in La mort (Paris, Flammarion, 1966, 1977), e inducono Jankélèvitch a sviluppare problemi, quali l’eutanasia, la pena di morte e la violenza, che in quell’opera non erano stati presi in considerazione. In particolare, Jankélèvitch ripercorre le tappe di una riflessione tesa soprattutto al recupero di quello spaesamento originario che costituisce l’esperienza della morte, e al di sopra della quale troppi pregiudizi sociologici, filosofici e religiosi si sono depositati. Per questo motivo l’evento della morte è definito da Jankélèvitch come la gaffe che “smantella tutte le combinazioni, fa a pezzi ogni patto, incide ogni ascesso, liquida tutti i malintesi” (Il non-so-che e il quasi niente, 1980 Genova, Marietti, 1987, p.266). Ciò comporta innanzi tutto la rinuncia alla scoperta di un senso che la vita potrebbe acquistare solamente se compresa all’interno di qualcosa di più grande, che la prosegua oltre la morte. Tuttavia, non è un abdicare all’insensatezza della morte. Recuperando il concetto bergsoniano di organo-ostacolo Jankélèvitch tenta di restituire il senso della relazione vita-morte. Bergson aveva definito tale concetto proponendo l’esempio dell’occhio, il quale è contemporaneamente l’organo e l’ostacolo della vista. Infatti se da un lato gli occhi sono gli organi della visione dall’altro la limitano impedendo di vedere tutto. Allo stesso modo, secondo Jankélèvitch, “la morte non solo ci impedisce di vivere, limita la vita, e poi un bel giorno l’accorcia; ma al tempo stesso comprendiamo che senza la morte l’uomo non sarebbe uomo” (p. 31), che è la morte a donare alla vita la sua preziosità e il suo fervore. Sicchè, conclude Jankélèvitch, “preferisco essere ciò che sono: condannato a qualche decennio soltanto, ma…aver vissuto!” (p. 31). Oltre all’importante studio dedicato a Bergson (1930), Brescia, Morcelliana, 1991, nella vasta produzione di Vladimir Jankélèvitch (1903-1985), filosofo e musicologo, le opere che ne completano la riflessione sulla morte sono soprattutto L’ironie (1933), Genova, il Melangolo, 1987; L’avventura, la noia, la serietà (1963), Genova, Marietti, 1991 e L’irreversible et la nostalgie, Paris, Flammarion, 1974.