L’ultima opera di Ricoeur intraprende quei cammini che dal pensiero sull’identità e la soggettività conducono ad una delle nozioni chiave del lessico filosofico contemporaneo, quella di riconoscimento. L’analisi preliminare dello spettro semantico occupato dal concetto di riconoscimento occupa la parte introduttiva del volume e svolge la funzione di chiarire quale lavoro di ricostruzione genealogica sia necessario per pensare questo concetto. Ricoeur identifica tre livelli ai quali corrispondono diversi stadi della riflessione sulla soggettività. Anzitutto, il riconoscimento è identificazione: tale equiparazione viene affrontata convocando tutti i pensatori della conoscenza come rappresentazione. Il secondo livello consiste nel riconoscimento di se stessi: a questa altezza, Ricoeur affronta il tema a lui caro dell’azione e dell’uomo inteso come soggetto capace di agire, concentrandosi soprattutto sulle due figure della promessa e della memoria. L’uomo che riconosce se stesso è il soggetto responsabile che risponde del proprio agire: il riconoscimento, in questo caso, equivale ad attestazione. Il terzo livello – cuore della ricostruzione – attiene alla pienezza del concetto di riconoscimento e riguarda la reciprocità: il soggetto che riconosce se stesso e identifica l’altro è in grado di riconoscere nell’altro quel soggetto che rimane, in una relazione inevitabilmente dissimmetrica, separato e a giusta distanza. La distinzione fra i piani concettuali che attengono al riconoscimento viene sviluppata tenendo sullo sfondo la differenza fra dimensione giuridica, sociale ed affettiva, alla quale corrispondono i tre momenti del rispetto, della stima e dell’amore. Infatti, nonostante un serrato confronto con i teorici delle «lotte per il riconoscimento», Ricoeur insiste nell’individuare il motore della reciprocità del riconoscimento nell’amore e nel dono. Il momento essenziale non va ricercato, tuttavia, nel dovere di ricambiare il dono, quanto nella motivazione che conduce alla donazione. Ricoeur mette qui l’accento sull’idea di dono in sé, fatto per il puro desiderio di donare senza attesa di alcun ritorno. Allo stesso modo del dono, anche il perdono rappresenta un gesto che pur non creando un’istituzione, funge da sfondo necessario per dare un senso alle richieste di riconoscimento. Tuttavia, né il dono né il perdono, interpretati nell’ottica dell’amore, devono smarrire quella giusta distanza che opera all’interno del riconoscimento reciproco fra soggetti: senza questa distanza, in ogni relazione si realizzerebbe una perversa sovrapposizione fra il sé e l’altro da sé, e la conseguente confusione dei ruoli causerebbe lo smarrimento del senso ultimo dell’alterità.