A lungo gli studiosi di storia sociale del tardo antico hanno ritenuto che le società del IV e V secolo fossero contraddistinte da un massiccio aumento della povertà e che pertanto la predicazione cristiana – volta a sottolineare l’importanza della cura dei poveri – fornisse una fedele fotografia della crisi sociale di quel tempo. Il lavoro di Brown è invece teso a sottolineare l’erroneità di quella lettura, perché la predicazione cristiana si ‘limitò’ a dare un nuovo significato a una situazione tradizionale: i gruppi marginali avevano sempre fatto pressione sulle città, ma solo da quell’epoca vennero appellati come “poveri” e come tali aventi diritto alla protezione e all’integrazione nella comunità cittadina. Quando si legge della necessità di praticare la “cura dei poveri”, sottolinea Brown, siamo di fronte soprattutto alla descrizione di persone residenti all’interno delle città, che potevano far sentire la proprie richieste grazie alla prossimità con i vescovi. Da un punto di vista politico, la cura di coloro che, all’interno della cerchia cittadina, erano soggetti al rischio di cadere in povertà divenne dunque fondamentale per il consolidamento del potere del vescovo come leader locale. In qualità di rappresentanti della comunità, vescovi e religiosi entrarono in competizione con le élites secolari: usando un linguaggio religioso, essi esprimevano i bisogni del popolo dei credenti, che erano in attesa di “cura”, denunciando al tempo stesso la frammentazione e la corruzione delle classi superiori tradizionali. Dopo la conversione di Costantino, l’amore per i poveri divenne dunque una virtù “pubblica”. In questo modo, la tarda antichità fu testimone della transizione da un modello di società, in cui i poveri erano in gran parte invisibili, a un altro modello, in cui i poveri giunsero a giocare un potente ruolo nell’immaginazione sociale. La chiesa cristiana, grazie alla sua capillare estensione in tutto l’impero, aveva così contribuito a creare un ambizioso linguaggio di solidarietà. Attraverso questa ricostruzione storica, Brown esplora l’emergere, nella tarda società romana, dei poveri come una classe sociale distinta, ne descrive la condizione e la vera natura della loro relazione con la Chiesa, facendo così luce su una fase cruciale della transizione dalla cultura classica a quella cristiana e sulle vere motivazioni della retorica della Chiesa verso i poveri. Alla luce di questi elementi diventa inoltre possibile leggere con più correttezza anche la lacerante controversia teologica tra monofisiti e nestoriani che caratterizzò quel periodo: un Dio “dimezzato”, senza l’esperienza della condizione umana, creava un solco abissale con i credenti e, per analogia, tra i potenti e i sudditi.