L’obiettivo del volume è enunciato senza esitazioni: dimostrare che non soltanto è possibile ridurre il tempo individuale di lavoro a parità di salario, ma che ciò è necessario per uscire dall’attuale grave crisi occupazionale. L’accrescimento del lavoro è divenuto impossibile , occorre quindi redistribuirlo per spianare la strada a uno sviluppo alternativo. Prima di esplicitare il proprio pensiero al riguardo, l’autore (docente di Economia del lavoro presso l’Università della Calabria) passa in rassegna i vari passaggi con cui è stata interpretata l’economia capitalistica, per rilevare gli errori interpretativi commessi anche da parte di chi l’ha criticata. I suoi emendamenti si rivolgono sia ad autori classici (come Polanyi, accusato di “misticismo”) che alla scuola francese (Gorz e Aznar commetterebbero l’errore di sottovalutare la complessità del mondo reale e di cercare una conferma immediata delle proprie intuizioni) e ad autori italiani (Lunghini). Sbaglia chi si attende dal testo di Mazzetti la minuziosa compilazione di modelli di società ideali. La sua ricerca appassionata e utile è una progressiva marcia di avvicinamento alla comprensione dei meccanismi che dovrebbero regolare i rapporti sociali. Le tre ricette più frequentemente suggerite – lavori socialmente utili, reddito di cittadinanza, riduzione del tempo di lavoro – non servirebbero, secondo Mazzetti, perché si mantengono all’interno dell’orizzonte sociale che è proprio alla base delle sofferenze attuali: l’errore comune è di continuare a ritenere necessario trovare un lavoro aggiuntivo, di credere possibile sganciarsi dall’intermediazione del denaro, di possedere una libertà che non considera la rete di legami che collega gli individui. La disoccupazione non è un evento naturale, ma è il risultato della connessione di momenti concatenati tra loro. La disoccupazione strutturale dimostra che il capitale non è in grado di anticipare un uso per le risorse eccedenti e l’intervento dello stato “keynesiano” introduce un mutamento generale che premette agli individui di conquistare una prima consapevolezza del rapporto che esiste tra soddisfazione dei bisogni e svolgimento dell’attività complessiva. Questo mutamento rimane però incompleto perché “i produttori immediati” immaginano il potere dello Stato come preesistente al processo che lo ha generato. Si deve invece agire nella consapevolezza che gli ostacoli che impediscono la creazione di una nuova ricchezza emergono prima del momento della produzione. La lotta per la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario è per Mazzetti lotta per la conquista della forma della ricchezza corrispondente alla soddisfazione dei bisogni nuovi e il soggetto che la pone in essere è colui che sa riconoscere i vincoli ai quali devono sottostare.