Da alcuni anni sta fortunatamente aumentando, anche nel panorama della cultura italiana, la sensibilità per la dimensione della Bibbia quale “grande codice” (l’espressione, nata due secoli or sono con Blake, è stata ripresa successivamente da Frye nella sua capitale opera omonima) della letteratura e dell’arte occidentali. In tale orizzonte va senz’altro segnalata l’ultima fatica di Piero Boitani, docente di Letteratura inglese alla “Sapienza” di Roma e autore di saggi di notevole respiro quali L’ombra di Ulisse. Figure di un mito e Il tragico e il sublime nella letteratura medievale, in cui l’autore si pone consapevolmente sulle orme di personaggi come Auerbach e Bloom, Alter e lo stesso Frye, per tracciare una serie significativa di “ri-Scritture”: vale a dire di riscritture della Scrittura per eccellenza, il che comporta due centri di attenzione testuale, la Bibbia e l’opera letteraria che ne è – direttamente o indirettamente – il rifacimento.
Consapevolmente, Boitani sceglie qui di non proporci una teoria strutturata, né un’analisi della ri-Scrittura in quanto tale, bensì una serie di esempi quanto mai significativi di riletture bibliche, volutamente distanti nello spazio, nel tempo e nei modi: dapprima passando senza soluzioni di continuità dal Documento Jahvista di Genesi al Giuseppe e i suoi fratelli di Mann, poi seguendo le variopinte interpretazioni nel corso dei secoli a Roma della vicenda di “Susanna e i vecchioni”, presente nel libro di Daniele, quindi verificando gli esiti esodali nelle espressioni culturali della nuova “Terra promessa” americana, dagli spiritual a Faulkner. Particolarmente curioso e intrigante il terzo capitolo (“In principio fu un gallo: fattorie d’animali e senso ordinario delle cose”), che narra di un prete medievale che fa riscrivere Genesi a un gallo, suscitando grasse risa ma sollevando anche problemi più drammatici, quelli dell’interpretazione di una parola sacra. Molto spesso – come si può notare – si tratta di ri-Scritture “oblique”, che percorrono il testo biblico in maniera indiretta, incrociando la Storia e altre storie, quale frutto di un interminabile commento e di scarti improvvisi, di ideologia, liturgia, polemica. Nel complesso, ne emerge la conferma del fatto che le lettere occidentali non hanno mai smesso di confrontarsi con l’immaginario biblico, certo in misura maggiore per quanto riguarda paesi come la Germania o l’Inghilterra e solo fino ad una data epoca, ad esempio, in Italia. Utile e accurata, in conclusione al volume, è da segnalare la bibliografia orientativa.