Il concetto politico di rivoluzione (che nel linguaggio moderno non è autonomo, ma dipende da altri concetti fondamentali, come democrazia, repubblica, Stato) indica, da un lato, “l’esplosione immediata e violenta contro il potere sovrano”, dall’altro “il processo di appropriazione delle potenzialità politiche del futuro”. Sebbene l’associazione del termine rivoluzione all’idea di attacco contro il potere sovrano sia un’acquisizione della modernità, tuttavia, fin dalla filosofia classica, Ricciardi rintraccia in “ribellione”, e nei suoi sinonimi, gli antefatti della storia concettuale moderna – che ha origine nel pensiero di Hobbes. In quanto “spinta alla realizzazione di un ordine sovrano”, la rivoluzione francese attesta di fatto l’artificialità del potere, l’assenza di un suo fondamento naturale. Rivoluzione si distingue così da ribellione, poiché quest’ultima è solo guerra civile, negazione dello Stato e della pace: da questo punto di vista anche il diritto di resistenza, alla luce del concetto moderno di rivoluzione, perde la sua capacità di attrarre la discussione sulla legittimità della reazione al governo ingiusto. Successivamente, le metafore kantiane dello “spettacolo” e dell’osservatore imparziale delineano i contorni di una sfera pubblica che interpreta il “segno storico” come tendenza al progresso morale dell’umanità. Il riconoscimento di un soggetto collettivo e la sua volontà di darsi una costituzione civile rappresentano, così, l’eredità degli eventi francesi. A partire dal XIX secolo il significato storico-politico di rivoluzione si forma in stretto legame con i concetti di sfera pubblica, costituzione, movimento e partito. È qui riconoscibile il pensiero di Marx e la parabola dei diversi marxismi: infatti, nell’ambito della lotta di classe il concetto di rivoluzione acquista non solo un significato polemico, ma diviene soprattutto radicale nel suo modo di concepire lo scontro con lo Stato borghese. Invece il pensiero novecentesco, e non solo come reazione ai regimi comunisti, è spesso caratterizzato dall’idea della fine della rivoluzione. L’evento rivoluzionario si afferma dunque storicamente come una delle vie di legittimazione dell’ordine moderno, ma che tuttavia aspira anche al suo superamento e rinnovamento. La storia del concetto di rivoluzione non si conclude però con la negazione pratica e teorica di un soggetto collettivo capace di trasformare l’ordine sovrano: ad essere nuovi sono gli spazi politici in cui le forme di aggregazione soggettiva possono pensare ed attuare un tipo di azione che spinga la loro richiesta di legittimazione al di là del diritto e della legge.