In una delle più bislacche opere di Shakespeare, Pene d’amor perdute, ci si imbatte in una strana caccia al cervo, un «detestabile crimine» che conferisce alla principessa che ne è l’autrice «lode, gloria e fama»: il tutto all’interno di una curiosa trama di cui è protagonista un Re di Navarra. La commedia è rappresentata, spettatrice Elisabetta I, nel 1598, all’indomani della conversione di Enrico di Navarra che conclude le guerre civili di Francia. Sacerdoti parte da questa caccia apparentemente incongrua per introdurci nel cuore della dottrina politica rinascimentale. Se infatti la caccia al cervo è identificata come allegoria del sacrificio di Cristo, la sua ripetizione allude alla celebrazione della messa, contro la dottrina calvinista che nega ad essa il carattere sacrificale. Ma non si pensi ad una riaffermazione delle ragioni cattoliche: ad officiare la messa non è un sacerdote, ma una principessa (cioè la stessa Elisabetta). Ecco il primo strato di senso: la scena allude alle ragioni dei politiques, per i quali la funzione sovrana non deve essere condizionata da quella sacerdotale. Un’attenta comparazione tra il testo di Shakespeare e un’analoga scena ne Lo spaccio della bestia trionfante di Giordano Bruno porta Sacerdoti a individuare nel testo bruniano la fonte prima della citazione shakespereana. Lo Shakespeare politique legge e ben intende il politique Bruno, del quale non dovrebbero più stupire le attestazioni di stima verso i politiques Enrico II ed Elisabetta I. Ma Sacerdoti non lascia a questo punto la presa, giungendo alla ricostruzione teologico-politica di una sotterranea tradizione alternativa alla morsa di teologia scolastica e metafisica aristotelica che attanaglia l’epoca medievale e moderna (almeno sino al XVI secolo). Una tradizione nascosta che ha i suoi fon-datori in al-Farabi ed Averroé (fonti certe di Bruno) e in Maimonide, per dipanarsi dapprima nascostamente attraverso gli averroisti (ma anche Pomponazzi) e poi apertamente nei teorici dello Stato aconfessionale (non solo Hobbes e Bodin, ma anche Spinoza, il grande sovversivo del pensiero metafisico-politico). Una storia appassionante, ma anche piena di pagine oscure: persecuzioni, scomuniche, roghi di libri e di filosofi punteggiano crudelmente questo quadro, non casualmente governato, in un’alternanza di scrittura e persecuzione, da un dichiarato richiamo all’ermeneutica di Leo Strauss. Con un solo ‘limite’: il libro ci lascia alle soglie di Spinoza, dopo aver fatto convergere su di lui la potenza del pensiero bruniano e averroista. Uno stimolo in più per proseguire questa linea di ricerca.