Il finire del XX secolo, pur caratterizzato da un’apertura globale dei mercati e dall’espansione dei diritti umani, ha prodotto numerose forme di violenza politica contro minoranze etniche, esprimendo in questo modo una forma violenta di chiusura verso quelle aperture che il vento della globalizzazione sta affermando in tutto il mondo. Questo perché le minoranze diventano il “luogo privilegiato” in cui molti Stati possono trasferire la paura di essere marginali in un mondo di pochi mega-stati. Tale deriva etnonazionalista delle società democratiche dipende in larga misura, continua Appadurai, dalla profonda reciprocità tra le categorie di maggioranza e minoranza, reciprocità che produce un’ansia da incompletezza: le maggioranze possono diventare predatrici quando sentono che è breve il salto verso una totalità nazionale incontaminata. Queste identità predatrici sorgono in contesti in cui si riesce a ridurre l’idea di nazione al principio della singolarità etnica, così che persino l’esistenza della più piccola minoranza all’interno di una nazione è considerata una macchia insopportabile per la purezza della totalità nazionale. La violenza etnica è la conseguenza di un’incertezza identitaria dovuta alla condizione postmoderna, in cui le appartenenze sembrano molteplici e flessibili: in queste condizioni l’esercizio della violenza fisica sul corpo dell’altro si configura, da un lato, come atto “scientifico” di verifica del diverso e, dall’altro, come un’azione politica di necessario ripristino delle differenze. Il corpo umano infatti è la sede ricorrente delle azioni più terrificanti di violenza etnica, su cui si mettono alla prova tecniche per esplorare e classificare l’altro, il nemico: nella violenza etnocida si è quindi alla ricerca di quella stabilizzazione somatica che la globalizzazione rende impossibile.
La violenza su scala globale si innesta in una fase storica in cui si assiste al passaggio da strutture statali e legislative che Appadurai chiama vertebrate (in quanto sono rette da una serie di norme, trattati, accordi stipulati a livello internazionale sulla base di principi simmetrici) a un sistema cellulare composto dalla rete nella quale non soltanto il denaro, le informazioni, le persone, ma anche le organizzazioni terroristiche si incontrano, circolano e convergono (il sistema capitalistico globale invece presenta entrambe le caratteristiche). Allo stesso tempo, rileva Appadurai, si affermano movimenti di solidarietà internazionale che lavorano secondo il principio cellulare: in essi si potrà trovare il vero antidoto alla pulsione mondiale verso l’etnocidio.