Le importanti questioni che Jonas pone in questo volume partono dalla affermazione che la tecnica è esercizio di potere umano e quindi deve essere soggetta a considerazioni di tipo etico. Il suo utilizzo, le sue applicazioni, oggi si diffondono velocemente su scala planetaria e richiedono maggiore responsabilità rispetto al passato. I confini tra teoria e prassi sono divenuti labili, rendendo inutile ripararsi dietro l’alibi della teoria pura e facendo scomparire l’immunità morale che esso garantiva ai ricercatori. Inoltre i compiti della scienza rischiano di essere determinati in misura sempre decrescente da interessi esterni, legati al mercato e al profitto economico. In questa situazione Jonas sottolinea che occorre riesaminare due tradizionali convinzioni: l’avalutatività e il diritto alla libertà assoluta della scienza. Essendo caduto il privilegio di cui godeva la teoria (la distinzione tra pensare e agire) essa deve ricadere sotto il dominio del diritto e della legge, dell’approvazione o della censura da parte della comunità. E’ questo uno dei punti su cui più fortemente si insiste nel volume: nell’età dei diritti dobbiamo ripensare ai doveri, tanto più urgenti quanto più avanzata la ricerca, in particolare quella nella tecnica biologica. Essa segna infatti una frattura grave con il mondo precedente avendo reso l’uomo oggetto diretto delle proprie ricerche. In modo evidente con la clonazione si attenta ad alcune delle caratteristiche peculiari dell’essere umano: la sua unicità (con la ripetizione di un modello si applica al corpo umano lo stesso principio – la produttività crescente – riservato finora alle merci), la non conoscenza dell’essere che deve ancora nascere (condizione necessaria per una autentica libertà che viene negata con la predeterminazione biologica). L’azzardo della vita, la spontaneità del divenire, viene derubata della sua apertura, provocando conseguenze ancora ignote nel processo di formazione dell’identità. Viene anche minacciato quello che Jonas definisce il “diritto di morire” – di cui si parla nel capitolo che sviluppa la discussione sulla possibilità di disporre degli organi dell’essere di cui è stata accertata la morte cerebrale – perchè si è dimenticato che anche la morte può avere una propria giustezza e dignità e che la vita porta dentro di sé, fin dall’inizio, la “necessità” della morte. Jonas avverte il pericolo che deriva dall’azione combinata di quei fattori che spingono per dar via libera a sempre nuove conquiste in vista di vantaggi immediati. Occorre allora, è la sua conclusione, rivalutare alcuni valori del passato (la frugalità, il pudore, l’autodisciplina) che possono condurre a una necessaria astensione dal compiere sempre nuove prestazioni.